Le criptovalute entrano nella dichiarazione dei redditi

L’Agenzia delle Entrate, all’inizio di questo mese, ha finalmente dato risposta a un quesito molto importante nato dalla diffusione delle valute digitali. Come pagare le tasse sui BitCoin?

La risposta è arrivata a seguito di un’istanza di interpello inoltrata alla stessa Agenzia da un contribuente preoccupato. Con l’avvicinarsi della scadenza dei termini di presentazione della dichiarazione dei redditi di quest’anno (prevista per il prossimo luglio) molti investitori potrebbero essere presi da dubbi su come e cosa dichiarare nei propri modelli. Nonostante se ne parli da anni, il mercato delle valute digitali è esploso soprattutto negli ultimi mesi spinto dalla corsa al rialzo del suo esponente più celebre, il BitCoin. Il clamore mediatico ha portato molte persone a investire in queste monete e, anche se BankItalia nell’ultimo “Rapporto sulla Stabilità Finanziaria” ha espresso forti perplessità riguardo queste valute, il fenomeno ha assunto dimensioni tali da non poter essere più ignorato dalle autorità competenti.

Le questioni a cui ha dato risposta l’Agenzia sono due: la modalità di tassazione del “capital gain” (i guadagni realizzati vendendo un titolo ad un prezzo più alto di quello a cui è stato acquistato) e la disciplina da attuare per il monitoraggio fiscale. Dopo un periodo di analisi l’ente ha chiarito una parte dei dubbi affermando che le criptovalute devono seguire le regole fiscali delle valute estere tradizionali. L’Agenzia delle Entrate con la circolare 38/E del 2013 aveva esteso l’obbligo di compilare il quadro RW (investimenti patrimoniali e finanziari esteri detenuti da persone fisiche residenti in Italia) anche alle attività finanziarie di provenienza estera detenute nel nostro paese al di fuori del circuito degli intermediari finanziari. Le criptovalute, essendo basate sulla blockchain, per loro natura non hanno una territorialità definita e quindi ricadono in questa categoria essendo considerate come una normale attività finanziaria estera suscettibile di produrre redditi imponibili in Italia. Per quanto riguarda il capital gain, seguendo lo stesso principio sopracitato, l’agenzia ha affermato che i guadagni derivanti da una cessione a titolo oneroso di valuta estera assumono rilevanza fiscale al raggiungimento di una determinata soglia. Infatti se, durante il corso di un anno, si detengono depositi in BitCoin con un controvalore di €56645,69 per almeno 7 giorni consecutivi, allora scatta l’obbligo di pagare l’imposta legata all’attività speculativa di trading monetario finalizzata all’ottenimento di plusvalenze. L’eventuale guadagno realizzato, calcolato come differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) deve essere inserito nel quadro RT del modello unico PF (persone fisiche) e verrà tassato con un’imposta sostitutiva del 26%.

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre chiarito che il possesso di BitCoin o di qualsiasi altra valuta digitale non genererà l’obbligo di versare l’IVAFE (Imposta sul Valore dei Prodotti Finanziari) perché il possesso di queste in wallet digitali non può essere assimilato a conti e depositi di natura bancaria.

Direttore Area Digitale dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nato ad Avellino nel 1990. Ha conseguito una laurea triennale in “Economia e gestione delle aziende e dei servizi sanitari” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e successivamente una laurea magistrale in “International Management” presso la LUISS Guido Carli. Al termine del percorso accademico ha frequentato un master in “Export Management & International Business” presso la business school del Sole 24 Ore.