Che lingua si parla al TAR lombardo? Only Italian, stupid!

Chissà quali lingue straniere parlano i magistrati del TAR Lombardia che hanno bocciato nei giorni scorsi il progetto del Politecnico di Milano di estendere l’inglese a tutti i corsi delle lauree magistrali e dei dottorati. E chissà anche se hanno studiato all’estero, magari in uno dei tanti Paesi non anglosassoni che da anni e in alcuni casi da decenni offrono i loro corsi nella lingua di Shakespeare (ma più prosaicamente anche del mondo globalizzato di oggi). Anche ai tanti italiani che emigrano verso corsi di migliore qualità rispetto ai nostri. Beninteso, la lingua non è una condizione sufficiente per attrarre cervelli di altri Paesi (oltre che per educare meglio i propri alle sfide della modernità) ma certamente è un elemento necessario. Almeno così dovrebbe essere, ma forse ciò sfugge a chi è comodamente seduto su una poltrona che lo può proteggere da ogni refolo di internazionalizzazione. Fatto sta, se guardiamo all’ultimo Rapporto “Education at a Glance” dell’OCSE (2012), dobbiamo constatare che l’Italia attrae solo l’1,2% degli studenti universitari e post-universitari che dai Paesi più sviluppati decidono di varcare le frontiere nazionali. Contro il 3,2% del Belgio, che ha una popolazione universitaria di poco superiore a un decimo della nostra. Per non parlare del 10,5% della Germania, del 4,9% della Francia, del 2,9% della Spagna. Leader della classifica, neanche a dirlo, gli USA con il 19,4% e il Regno Unito con il 18,1%. Paesi dove non a caso si parla la “particolare lingua”, la cui adozione generalizzata avrebbe compresso, secondo i giudici milanesi, “in modo non necessario le libertà, costituzionalmente riconosciute, di cui sono portatori tanto i docenti, quanti gli studenti”. A corredo della modernità di approccio del TAR, il riferimento al Regio decreto del 1933 che sottolinea la centralità della lingua italiana in ogni settore dello Stato. In effetti, il fascismo non era proprio noto per apertura internazionale, a quel tempo pochi studenti si avventuravano all’estero per ragioni di studio e i germogli della globalizzazione osservati prima della Prima Guerra Mondiale erano stati spazzato via dalla Grande Depressione. Ma cosa importa notare questi minuscoli dettagli con giudici e leggi del genere?

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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