In netta controtendenza rispetto alla congiuntura recessiva che ha colpito industria e pubblica amministrazione, il no-profit italiano è cresciuto del 28% in 10 anni. Una progressione eclatante se posta a confronto con quella delle imprese (aumentate di soli 8 punti percentuali) e, soprattutto, delle pubbliche amministrazioni: diminuite del 22%.
Tre i dati interessanti. Il primo riguarda la forza lavoro. Dal 2001 a oggi il terzo settore ha aumentato del 39,3% il personale alle proprie dipendenze. In tutto impiega 5,7 milioni di lavoratori, molti dei quali giovani. La maggioranza è composta da volontari (8 su 10), ma sono in aumento i dipendenti (11,9%), gli esterni (4,7%) e i temporanei (0,1%). Aumento che si riflette anche sulla media di dipendenti per ente. Nel 2001 erano 12,8, oggi sono 16,3.
Secondo: la distribuzione geografica. In tutto ci sono 300mila no-profit, distribuite equamente su tutto il territorio, con il Nord-est in testa, grazie ai circa 65 enti ogni 10mila abitanti, seguito dal Meridione (dove si concentra il 26,3% delle no-profit) e dal Centro.
Dal punto di vista delle competenze il terzo settore copre un vasto spettro di attività, dalla ricerca scientifica (gestita soprattutto dalle fondazioni, il 2,1% del totale) alla filantropia (9,9%), passando per la sanità (7,1%) e il sociale (quest’ultimo di dominio delle cooperative: 11.264 in tutto, pari a 3,7% del totale). La punta di diamante però è rappresentata dalla cultura e dallo sport. Non solo vi si dedicano oltre 195mila no-profit, più della metà del totale, ma sono anche in forte aumento rispetto a 10 anni fa: 39,5%, a fronte di una media nazionale del 36%. Sono addirittura più numerose delle istituzioni pubbliche (appena 252) e delle imprese (poco superiori alle 61mila unità).
(NB. Il testo è un riadattamento dell’articolo pubblicato su Italia Oggi del 12 luglio 2013, a firma di Gianluca Sgueo)