Un brillante futuro in pericolo. Lo sviluppo della moneta elettronica, l’evasione fiscale e i paradossi della regolazione

Diversi studi rilevano l’esistenza di una relazione positiva tra penetrazione delle carte di pagamento e crescita economica. In letteratura si delinea, invece, una sostanziale assenza di ricerche tese ad identificare direttamente la relazione esistente tra carte di pagamento ed economia sommersa. Entrambe le relazioni risultano di primario interesse regolamentare: sulla loro scorta, infatti, i policy maker possono effettuare scelte normative in grado di accelerare la crescita economica, migliorando l’efficienza di costo della moneta elettronica, recuperando fiscalità sommersa e ottenendo un maggiore controllo su variabili macroeconomiche di cruciale  rilevanza, quali ad esempio il livello di occupazione ed il PIL.

Sulla base di dati della Banca Centrale Europea e di un proprio modello statistico, un recente studio I-Com stima non solo che un aumento di un milione di carte di pagamento è associato a un incremento del PIL di 10 miliardi di euro ma che c’è una forte correlazione tra numero di carte di pagamento e prelievo di contante da un lato ed economia sommersa ed evasione fiscale dall’altro. In particolare, in base alle elaborazioni di I-Com, un aumento di 10 milioni di carte di pagamento (incremento peraltro inferiore a quello già registrato tra 2006 e 2011 in Italia) è associato ad una diminuzione dell’economia sommersa del 3,6% e a un recupero dell’evasione fiscale pari a 5,1 miliardi. Nel caso questo incremento di carte avvenisse congiuntamente con una diminuzione del prelievo medio di contante presso sportelli Bancomat di € 15, si potrebbe immaginare di recuperare un evaso pari a 15 miliardi di euro l’anno.

Il problema di policy che dunque ci si pone è come raggiungere questi obiettivi, evitando di creare distorsioni eccessive nell’allocazione delle risorse. Sebbene l’obiettivo di una maggiore diffusione dei pagamenti elettronici sia chiaramente desiderabile da un punto di vista istituzionale, non sempre gli strumenti utilizzati dal regolatore sono stati in grado di raggiungere i risultati attesi. In particolare in alcuni Paesi, si è deciso di diminuire le commissioni interbancarie (cosiddette MIF) tra banche acquirer e banche issuer al fine di incentivare gli esercenti ad accettare pagamenti con carte (es. Spagna) oppure di trasferire in tutto o in parte tale minor costo sui prezzi dei beni e dei servizi venduti a beneficio dei consumatori (es. USA e Australia).

Analizzando gli effetti delle policy che sono state introdotte nei Paesi sopra ricordati, si è notato come gli interventi sul mercato delle carte di pagamento non solo non abbiano raggiunto gli obiettivi sperati ma, anzi, abbiano provocato effetti non desiderabili al livello di sistema. In tutti i casi dove è stato possibile valutare ex-post tale intervento (quindi in modo particolare Australia e Spagna, nelle quali queste iniziative risalgono rispettivamente al 2003 e al 2005) l’abbassamento d’imperio delle MIF non si è rivelata una scelta azzeccata. Successivamente all’introduzione di tale previsione normativa, infatti, i minori costi sostenuti dagli esercenti sono stati trasferiti, per il tramite delle banche issuer, sui detentori delle carte (i consumatori), i quali non solo non hanno potuto beneficiare della diminuzione dei prezzi dei prodotti acquistati in modalità elettronica (come immaginato dai policy-maker), ma hanno reagito, nel caso spagnolo, con un inversione del ciclo di replacement del contante come mezzo di pagamento: in poche parole, i consumatori hanno addirittura scelto di prelevare più contante dagli ATM piuttosto che continuare a pagare con carte, diventate ormai più costose per via dell’inasprirsi delle condizioni economiche di detenzione delle stesse.

In particolare, nello studio I-Com si è evidenziato come il tasso di crescita composto delle carte di pagamento in Spagna, unico paese a livello europeo ad aver approvato la diminuzione regolamentare delle MIF, è stato del -1.07% mentre in Italia e in Europa la diffusione delle carte di pagamento cresceva negli stessi anni ad un tasso composto rispettivamente intorno al 2 e al 3%.

D’altronde, uno studio di Edgar, Dunn & Co. del 2013, basato su dati microeconomici, mostra che un abbassamento in Europa delle MIF porterebbe a un aumento dei canoni annuali della carte di pagamento compreso tra 6 e 10 euro l’anno.

Incentivare l’uso della moneta elettronica deve rappresentare un’occasione che non va sprecata: per questo motivo è necessario, a Bruxelles come a Roma, non ripetere gli errori del passato e fare tesoro degli insuccessi sperimentati. Esistono differenti modalità per incentivare l’uso della moneta elettronica, senza necessariamente sconvolgere gli equilibri di mercato attraverso una riduzione delle MIF. Ad esempio, si potrebbe prendere spunto dall’esperienza di Paesi come la Corea del Sud e l’Argentina che hanno scelto di defiscalizzare i pagamenti elettronici, con benefici in termini di gettito fiscale superiori ai costi, grazie al recupero dell’evasione.

In ogni caso, vanno evitate scelte troppo dirigiste in un senso o nell’altro. Meglio ricorrere ad incentivi che a prescrizioni, raggiungendo il risultato finale senza stravolgere le dinamiche di mercato.

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.