Le conseguenze economiche delle riforme dei “saggi”

Tra i 35 componenti della Commissione per le riforme costituzionali, che ha consegnato ieri al Premier Letta la relazione finale sui suoi lavori, era presente un solo economista, a fronte di una stragrande maggioranza di costituzionalisti. Nonostante questa evidente sproporzione, non sorprendente (anche se, ci permettiamo di dire, poco coraggiosa), il nesso tra riforme costituzionali e necessità di rilancio economico del Paese permea l’intero documento. In particolare spingendolo verso due direzioni: l’efficienza decisionale e la stabilità di Governo. Da una lettura del testo (scaricabile su http://www.slideshare.net/Palazzo_Chigi/relazione-testo-17-settembrepdf-adobe-acrobat-pro), i risultati paiono più brillanti sul primo versante, imperniati su superamento del bicameralismo perfetto, revisione del procedimento legislativo e riscrittura della riforma del Titolo V del 2001.

In particolare, il bicameralismo differenziato permetterebbe una maggiore rapidità delle decisioni, pur mantenendo in capo al Senato importanti poteri di iniziativa e di controllo. Una soluzione che appare molto equilibrata, per dare da un lato maggiore efficienza ma anche dall’altro per tenerci lontani da fenomeni di tirannia della maggioranza che potrebbero essere innescati dal monocameralismo o da un bicameralismo depotenziato. Molto interessante è il rilievo che si vorrebbe assegnare alla valutazione delle politiche pubbliche (e alla valutazione dell’impatto regolatorio), che spetterebbe in particolare al Senato. Qui però occorre tener conto di due fattori, di cui il testo non dà conto: come assicurare l’indipendenza di giudizio (anche per questioni evidenti di credibilità) e come finanziare un’attività che ha bisogno di competenze che solo in parte si trovano attualmente nel personale pur molto qualificato di Camera e Senato. E’ evidente che occorrerebbe immaginare la centralità di un livello tecnico, assicurato da un ufficio ad hoc, sul quale la direzione “politica” del Parlamento intervenga solo a monte, con poteri di indirizzo, e a valle, con un dibattito pubblico dei risultati. Per quanto riguarda le risorse, potrebbero arrivare dalla diminuzione del numero dei parlamentari, che secondo i “saggi” dovrebbero scendere dagli attuali 945 a un numero compreso tra 600 e 700 (anche se, aggiungiamo noi, il taglio potrebbe essere ben più radicale, ricordandoci che negli Stati Uniti ci si ferma a 535). Inoltre, è interessante che si parli di valutazione dell’impatto regolatorio, anche se non si capisce se nella visione proposta sia solo ex post o anche ex ante (come sarebbe in realtà auspicabile, anche per prevenire e non solo curare quando la frittata è già fatta).

Assolutamente condivisibile è anche lo sforzo per migliorare la qualità della nostra legislazione, “il cui livello inadeguato si riverbera in incertezza del significato delle leggi e quindi in lesione del fondamentale principio della certezza del diritto” (pag.13 e 14). In particolare si vuole evitare la prassi corrente di inserire articoli di contenuto estraneo alla materia trattata, attraverso la tecnica dei maxiemendamenti ai decreti legge. Allo stesso tempo, per assicurare comunque la massima rapidità decisionale, attualmente garantita dai decreti (a costi crescenti in termini di farraginosità e di attuazione a valle), si stabilisce il principio di votazioni a data fissa sui disegni di legge del Governo. Di minore visibilità ma di grande impatto, proprio nel garantire certezza e chiarezza del diritto, è anche la segnalazione che fa la Commissione, riprendendo una proposta emersa nella Commissione Bicamerale della XIII Legislatura, in favore della “improcedibilità di proposte di legge che intervengono su materie contenute nei Codici e nei Testi Unici, senza proporre esplicitamente la modifica o l’integrazione dei relativi testi” (pag.14).

Per quanto riguarda la riforma del Titolo V, l’obiettivo principale è quello di assicurare la minore conflittualità possibile tra Stato e Regioni, che porta a più di dieci anni dall’approvazione della riforma a un contenzioso ancora molto elevato di fronte alla Corte Costituzionale. Inoltre, in nome dell’interesse nazionale, alcune competenze concorrenti (in particolare, “grandi reti di trasporto e navigazione”, “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “ordinamento della comunicazione”) vengono affidate esclusivamente allo Stato. Tuttavia, non si fa menzione di materie cruciali per la competitività del Paese come il turismo, che oggi sono affidate, si fa per dire, alle cure amorevoli delle Regioni.

Sul fronte dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti dei livelli inferiori, si rileva giustamente che alcune applicazioni dell’attuale norma, contenuta nell’art.120 della Costituzione, non sono state efficaci, in particolari quelle relative alla nomina di Presidenti di Regione a Commissari per la sanità nella rispettiva regione. In alcuni casi, è come dare la pistola in mano all’assassino. Molto meglio, per evitare conflitti di interesse, nominare “personalità che non ricoprano già incarichi nello stesso ente territoriale”

Come si diceva inizialmente, il lavoro dei saggi appare molto meno compiuto e innovativo sui temi della forma di Governo e della legge elettorale, un indicatore delle spaccature che si sono registrate tra i componenti delle diverse scuole. Di fatto, la soluzione che sembra mettere maggiormente d’accordo i “saggi” è quella di costituzionalizzare le prassi emerse nella Seconda Repubblica (con l’indicazione del Primo Ministro sulla scheda elettorale), rendendo più difficili eventuali ribaltoni e auspicando un ritorno a un rapporto più diretto tra eletti ed elettori (ma senza prendere in realtà posizione su un particolare modello elettorale).

In sintesi, le proposte dei “saggi” non paiono né particolarmente innovative né sufficientemente robuste (per via delle diverse opinioni di cui dà esplicitamente conto la Relazione finale). Ma, con quello che passa per i diversi conventi, l’unico contro l’altro armati, della politica italiana, rappresenta quantomeno un punto di partenza nel quale si possono riconoscere quasi tutte le forze politiche alle quali spetta disegnare in dettaglio ed eventualmente approvare il nuovo quadro costituzionale. Con conseguenze per l’economia che appaiono complessivamente favorevoli, analizzando il lavoro dei “saggi”. Sperando che sia questa la volta buona, dopo decenni di fallimenti.

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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