Il progresso tecnologico, il cambio di passo nella cultura delle istituzioni a favore della partecipazione, e in parte la diffusione della filosofia open data, secondo cui i dati in possesso delle istituzioni devono essere messi a disposizione della vasta platea di potenziali interessati, hanno reso la trasparenza paradigma di riferimento per l’azione di qualsiasi istituzione pubblica. L’immagine che descrive meglio questa concezione è quella dell’istituzione “casa di vetro”, in cui tutte le attività pubbliche sono rese note ai cittadini.
Quali però debbano essere i confini della trasparenza e quali, invece, quelli della riservatezza, è oggetto di discussione. Il caso del lobbying è, da questo punto di vista, particolarmente interessante. Il metro di riferimento del livello di trasparenza del lobbying è il registro dei portatori di interesse. Esistono, al riguardo, almeno tre diverse soluzioni.
La prima è quella in cui il registro, o qualsiasi altra forma di censimento, sono assenti. È, tra gli altri, il caso italiano. Se si esclude il Ministero dell’agricoltura, che ha creato un suo registro (a iscrizione facoltativa) per i portatori di interesse che intendono presentare osservazioni prima dell’approvazione di decreti o regolamenti, non esiste a livello nazionale alcuna forma di regolazione. L’interazione tra istituzioni e gruppi di pressione si svolge in assenza di qualsiasi monitoraggio o rilevazione. Non se ne conoscono i tempi, le forme e i mezzi. Le uniche, sporadiche, informazioni disponibili provengono dall’attività di ricerca di enti privati o, più raramente, università.
La seconda ipotesi è quella in cui un registro (o uno strumento equivalente) esiste, ma l’iscrizione è facoltativa. Perché lasciare ai rappresentati di interessi la libertà di registrarsi e rendere la propria attività soggetta al monitoraggio del decisore pubblico? L’idea di fondo è quella di garantire, attraverso l’adesione al registro, alcuni privilegi a chi si iscrive. Ad esempio la possibilità di accedere in anteprima rispetto ai competitors alla documentazione che accompagna una proposta di legge. I diritti ci chi non aderisce al registro non vengono esclusi, ma se ne consente l’esercizio in subordine ai soggetti iscritti.
Ultima è l’ipotesi della total disclosure. È la strategia adottata dal governo degli Stati Uniti. La legge federale statunitense impone condizioni stringenti a tutti coloro che esercitano attività di pressione presso il Congresso e le agenzie federali. Oltre al resoconto dettagliato dell’attività svolta, i singoli lobbisti e le aziende devono indicare l’agenda degli incontri e il budget destinato ogni anno all’attività di lobbying.
Quanto detto vale per le alternative tra cui può scegliere il decisore pubblico. In realtà è interessante notare che da qualche anno sono nate iniziative private con la funzione di sopperire al ruolo dei decisori pubblici e garantire la trasparenza dell’attività lobbistica. Tra i casi più celebri ci sono Maplight, che mostra le correlazioni tra i soldi ricevuti dai parlamentari e i voti espressi nella legislatura; Lobbyplag, creato da hackers tedeschi per denunciare gli europarlamentari che hanno difeso gli interessi delle imprese ICT nel dibattito sulla normativa Data Protection; Ebay MainStreet, attraverso il quale il colosso americano illustra le campagne di advocacy condotte in Europa e USA; infine, I paid a Bribe, sito indiano sul quale i cittadini possono segnalare episodi di corruzione di pubblici ufficiali.