L’Italia che resiste c’è, io l’ho vista

“Lasciate spazio a chi sa fare” chiedevano ieri sul Corriere della Sera Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, citando una serie di segnali positivi che pure ci sono e sono per fortuna tanti in un’Italia che non cresce come dovrebbe o addirittura decresce da venti anni a questa parte. Un appello che bene si attaglia a realtà sconosciute o quasi di questo Paese.

Nei giorni scorsi, I-Com ha organizzato, in collaborazione con il gruppo GDF SUEZ, un convegno a Porcari, a pochi chilometri da Lucca, nel cuore del distretto cartario più importante d’Italia e forse d’Europa. Che, con più di 3 miliardi di fatturato, di cui circa 1 è esportato all’estero, è un esempio straordinario della competitività che oggi manca al sistema Paese nel suo complesso. Anche perché acquisita senza che apparentemente ce ne fossero le condizioni, nuotando controcorrente nelle acque agitate del commercio globale. A cominciare dal costo dell’energia, che incide per circa il 40% sui costi d’impresa, per non parlare delle criticità logistiche legate a un sistema dei trasporti e a un’intermodalità ancora del tutto insufficienti. E senza dimenticare i fattori sistemici che frenano indistintamente tutte le imprese italiane, dalla tassazione elevata e incerta alla burocrazia inefficiente e inutilmente vessatoria. Basti pensare che in Italia non è possibile produrre energia con gli scarti della lavorazione della carta, un modo intelligente usato in tutta Europa per ridurre i costi e allo stesso tempo risolvere in maniera eco-compatibile un problema ambientale. Tenendo conto che  non disponiamo granché di materie prime né per produrre carta né per generare energia, dovremmo usare quello che ci resta con entusiasmo. Eppure, non possiamo farlo, perché qualche parlamentare o funzionario troppo zelante decide che è meglio fare altrimenti, in base ai propri pregiudizi e senza tenere minimamente conto delle conseguenze per le imprese.

Nonostante questa lunga lista di handicap, il distretto cartario toscano è in espansione, in un settore apparentemente lontano dal glamour del made in Italy. Le due specializzazioni di Capannori sono infatti il tissue (i prodotti per la cucina e il bagno) e l’ondulato per imballaggi. Non certo due lavorazioni pregiate, ma certamente pregiato è il contesto industriale che le produce. E che ha saputo investire nell’innovazione, sia rispetto al prodotto sia rispetto ai processi. Ne è una testimonianza il Centro per la qualità della carta, ospitato in una struttura avveniristica nei pressi della Fiera di Lucca. Così come lo sono gli impianti di cogenerazione e gli altri investimenti che hanno permesso di ridurre l’intensità energetica ai livelli più bassi del settore a livello internazionale. L’handicap iniziale è così diventato un fattore di successo. Non grazie a un miracolo ma perché l’ecosistema competitivo lo ha permesso. Con l’emergere ad esempio di aziende leader, che hanno investito dall’estero, ma anche di imprese locali che hanno compiuto il salto dimensionale che le ha consentito di competere ad armi pari sui mercati internazionali e di trainare il resto della filiera. Tra queste ultime, il caso di maggior successo è senz’altro quello di Sofidel, cresciuta nel territorio dove è stata fondata nel 1966 e nel giro di un decennio passata dai 463 milioni di fatturato del 2002 ai 1511 del 2012, grazie ad una serie di acquisizioni all’estero (e anche a un marketing molto efficace legato al suo brand principale, Regina). Ma non mancano altre storie positive di imprese locali che sono riuscite a crescere molto e a proiettarsi all’estero.

Nessuna di queste sogna che dalle istituzioni verrà nei prossimi anni la spinta decisiva per competere a livello internazionale. Tutte credono che le principali responsabilità per il successo futuro ricadranno come al solito su di loro. Ma certamente, un secondo prima di aumentare le imposte, incrementare i costi dell’energia, i vincoli ambientali o la rigidità dei contratti, magari per scopi nobili e altisonanti, la politica dovrebbe fermarsi un attimo e pensare alle tante imprese che, come quelle del distretto cartario toscano, provano nonostante tutto a spingere il Paese in avanti. Non è detto che l’avventura del distretto cartario toscano, così come delle tante realtà produttive sane sparse per l’Italia, sia destinata a continuare senza arresto ma almeno assicuriamoci che la corrente contro la quale le imprese devono nuotare non diventi troppo forte per poter essere attraversata.

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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