Si è abbondantemente scritto, parlato, dibattuto del doping dei mercati finanziari, delle immissioni di liquidità FED, dei timori del tapering, del relativo immobilismo del vecchio continente.
Vale la pena, però, spendere due parole su quanto è successo giovedì, 7 novembre 2013, perché è l’emblema della distorsione che stiamo vivendo, di cristallina interpretazione sull’attuale distanza tra finanza ed economia.
Due sono gli avvenimenti chiave: l’annuncio di Draghi del taglio del costo del danaro al minimo storico dello 0,25% e quello USA dei dati sul PIL, in crescita del 2,8% (contro le attese del 2%).
I tracciati dei listini azionari hanno reagito istantaneamente alle due news. La prima ha dato euforia repentina ai mercati. Il FTSE MIB si è prodotto in un balzo felino dello 0,85% tra le 13:45 e le 13:50, il DAX 30 dell’1% circa. La finanza ha apprezzato, tanto, l’opportunità di prendere a prestito a tassi bassi e reinvestire nei redditizi mercati finanziari.
Ma poi? Cos’è successo? Perché piazza Affari ha rintracciato (o più onestamente è crollata) chiudendo alle ore 17:30 in rosso di oltre il 2% (con un caduta dai massimi di giornata del 3%)? Perché Francoforte annulla quell’1% (chiudendo, però, in territorio positivo)?
Semplice, sono arrivate notizie sull’economia a stelle e strisce. Attenzione, notizie positive sull’economia. La finanza, stavolta, non ha apprezzato. Economia in ripresa equivale a concretizzazione del tapering, alla fine delle risorse a costo basso da reinvestire nei mercati finanziari.
L’ economia va su e bastian contrario (la finanza) va giù.
In realtà si dovrebbe trattare di movimenti fisiologici. E’ chiaro che un’economia in ripresa non verrà tirata giù da una finanza scontenta, anzi, quando l’effetto del doping (necessario) svanirà le due dimensioni riprenderanno a camminare sotto braccio (si spera). Ma per il momento la realtà è descritta da un paradosso.