Accanto al Piano Destinazione Italia, la revisione della spesa pubblica è il pilastro più ambizioso della politica economica del Governo Letta. Propedeutico a quella diminuzione della pressione fiscale senza la quale sarà difficile se non impossibile far ripartire la macchina zavorrata dell’economia italiana.
Non si può dunque che apprezzare l’ambizione del programma di lavoro inviato ieri al Comitato interministeriale ad hoc (qui il documento, tratto dal sito del Sole 24 Ore), presieduto dal Presidente del Consiglio, dal Commissario Straordinario per la Revisione della Spesa Pubblica, Carlo Cottarelli, ad appena venti giorni dal suo insediamento a via XX Settembre.
Innanzitutto è messa nero su bianco fin dall’inizio l’intenzione di superare quelli che chi scrive aveva giudicato i modesti obiettivi fissati dalla Legge di stabilità, presentata al Parlamento appena un mese fa, che prevedevano poco più di 10 miliardi di risparmio all’anno a decorrere dal 2017, con in mezzo obiettivi intermedi inferiori da raggiungere a partire dal 2015. Era evidente che con quei numeri si possono tutt’al più evitare aumenti ulteriori di imposte o tagli alle agevolazioni fiscali ma non certo finanziare la riduzione della pressione fiscale quanto mai necessaria in questo momento. Negli ultimi giorni, è stato finalmente evocato un taglio della spesa pubblica pari al 2% di PIL. Se questo dato potesse essere confermato ufficialmente (anziché ballare sfrenatamente, se pensiamo che ancora domenica il Ministro dell’Economia nell’intervista al Corriere della Sera si teneva aperta un’ampia forchetta compresa tra l’1 e il 2%), non sarebbe ancora quell’1% all’anno proposto durante l’ultima campagna elettorale dall’allora PDL, che era però decisamente parco di dettagli su come raggiungerlo, ma si tratterebbe pur sempre del triplo rispetto a quanto ipotizzato solo un mese fa dallo stesso Governo di oggi.
In realtà Cottarelli giustamente non parla di target puntuali (che deve fissare l’autorità politica, espressa dal Comitato interministeriale) ma dice che “dovrà essere valutata l’opportunità di andare oltre” gli obiettivi stabiliti dalla Legge di stabilità, con risparmi da individuare già nel 2014.
Ma ciò che è interessante nel documento redatto da Cottarelli è la definizione piuttosto dettagliata, oltre alla tempistica, della governance del processo di revisione della spesa alla quale spetterà portare a casa il risultato.
Oltre a un nucleo di base che come già anticipato sarà costituito da una decina di unità individuate nell’amministrazione pubblica (con un riferimento un po’ demagogico nello spirito del tempo all’assenza di costi aggiuntivi), con funzioni di analisi, coordinamento e anche promozione verso l’esterno delle attività, si prevedono 8 gruppi di lavoro orizzontali (organizzati per tema) e 17 gruppi di lavoro verticali (organizzati per amministrazione), con l’indicazione dei rispettivi capitoli di spesa da rivedere.
Si poteva forse avere più coraggio nella scelta di alcuni gruppi tematici (ad esempio, non se ne prevede nessuno che stimi e implementi concretamente i possibili benefici derivanti dalla digitalizzazione, di cui soggetti di ricerca offrono ipotesi da anni, ma si immagina solo che quello sull’organizzazione amministrativa, che si occuperà di razionalizzazione e accorpamento delle amministrazioni centrali, utilizzi i benefici derivanti dal completamento dell’agenda digitale, senza prevederne apparentemente alcun ruolo proattivo). Tuttavia, è apprezzabile il livello di dettaglio organizzativo (che affianca alla dimensione verticale, prevedibilmente più esposta ai rischi di rimanere prigioniera delle barriere erette dalle singole amministrazioni, quella orizzontale). Ed è anche perfettamente condivisibile la chiara volontà espressa nel documento dal Commissario di non rimanere prigioniero dei prevedibili veti, spettando a lui la decisione finale e non ai gruppi di lavoro, che avranno semplicemente un ruolo istruttorio.
Ed in effetti il successo dell’operazione si misurerà proprio sulla capacità del Commissario di usare le amministrazioni per la loro maggiore conoscenza dei capitoli di spesa e delle relative esigenze effettive, senza però rimanere impigliato nelle logiche consociativistiche che è facile prevedere saranno molto forti.
Intanto, la partenza della prima seria spending review mai progettata in Italia è stata buona, anzi per certi versi superiore alle aspettative. Ma a deragliare o peggio ancora a impantanarsi da qui ai prossimi tre anni ci vuole davvero poco. A salvare il Commissario, oltre alle sue capacità tecniche e diplomatiche, dovrà essere soprattutto la copertura politica non solo del Ministro dell’Economia ma anche e probabilmente soprattutto del Presidente del Consiglio. Almeno finché dura questo Governo.