La regolazione dell’Assistenza Territoriale nel nostro Paese è un esempio di come – ancora una volta – sia mancato qualcosa di fondamentale per tradurre idee e sigle in azioni concrete ed uniformi a livello nazionale. Lo dimostra la vivacità del dibattito su questo tema, ritenuto centrale per la riprogrammazione dell’offerta dei servizi sanitari.
Nell’audizione del 22 ottobre scorso in Commissione Sanità – nell’ambito dell’indagine conoscitiva “Sostenibilità del SSN con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità” – il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha sottolineato che il “trasferimento di risorse dall’ospedale al territorio è lo strumento che consente di affrontare efficacemente anche i temi dell’invecchiamento e delle cronicità e, quindi, di garantire la sostenibilità futura del sistema sanitario”. Invecchiamento della popolazione e cronicizzazione delle malattie sono i due trend che caratterizzano l’attuale transizione epidemiologica e ciò non può non impattare sulla pianificazione degli interventi, specialmente nella realizzazione di quei servizi e quelle strutture che vanno a collocarsi nella fascia della intermediate health care.
Le statistiche ci informano che il 38% della popolazione italiana soffre almeno di una malattia cronica (ISTAT anno 2012), il 75,5% dei pazienti è nella fascia d’età 65-74 anni, e ben l’86,1% nella fascia di età over-75. Sappiamo dal Ministero dell’Economia che la spesa pubblica per la Long Term Care è stata nel 2010 di 29,45 miliardi di euro (1,9% PIL) e il Ministero per il Lavoro e le Politiche Sociali stima – sempre per il 2010 – che l’1,28% del PIL sia stato assorbito dalla sola assistenza della popolazione over-65. L’attuale discussione sulla rimodulazione della spesa per l’assistenza sanitaria tra ospedale e territorio da anche la misura di quanto sia ancora radicato un certo tipo di modello culturale ed economico nel nostro sistema sanitario. Un modello ospedalo-centrico che pur in fase di trasformazione non è stato ancora sostituito da un’offerta di servizi più avanzata e sostenibile, fondata sulla prevenzione e sull’integrazione tra saperi e professionalità sanitarie e sociali, diverse ma complementari. Eppure va ricordato che sono trascorsi quindici anni dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2001, con cui la programmazione veniva fortemente improntata alla deospedalizzazione e tutte le attività territoriali erano ricondotte ad un unico LEA.
Il sistema resta tuttora ancorato all’ospedale, anche perché è qui che sono somministrate le terapie più innovative ed impattanti, mentre i costi dei servizi sono più facilmente identificabili e aggredibili. Ma è sul territorio e nel Distretto che si delinea la vera sfida per policy maker e amministratori locali. Nell’Assistenza Territoriale l’organizzazione e l’affidamento dei servizi richiede un approccio multi-professionale e un’integrazione interdisciplinare, i bisogni sono più eterogenei e in continua evoluzione. Medici e professionisti sanitari – sostenuti dalle famiglie dei pazienti e dagli operatori del sociale – devono possedere una capacità di disease management complessa, tale da poter gestire la presa in carico di multi-morbilità e fragilità sanitaria e socio-sanitaria. Sia nel luogo di domicilio del malato che nelle strutture di continuità ospedale-territorio.
Le linee di policy considerate strategiche sono le stesse da anni: ruolo propulsore del Medico di Medicina Generale all’interno del Distretto, valutazione multidimensionale e integrazione dei professionisti. Non sono nuove sigle come UTAP – Unità Territoriali per l’Assistenza Primaria, UCCP – Unità Complesse delle Cure Primarie e AFT – Aggregazioni Funzionali Territoriali, cui dal 2009 i Medici di Medicina Generale sono chiamati obbligatoriamente ad aderire. Non è nuovo neppure il riferimento all’implementazione della telemedicina e dell’e-Health per la saldatura del network ospedale-territorio e la semplificazione delle comunicazioni tra medici e strutture e tra medici e pazienti. Il Decreto Balduzzi del 13 settembre 2012 ha riproposto questi obiettivi tentando una volta per tutte di omogeneizzare la vasta normativa che ha riguardato negli anni l’Assistenza Territoriale.
Tutti questi elementi, insieme ad altri relativamente più recenti – si pensi alle Case della Salute e al nuovo ruolo delle farmacie dei servizi – sono ben presenti sia nella programmazione nazionale che in alcune programmazioni sanitarie regionali. Non mancano esempi di buone pratiche, sia a Nord che a Sud del Paese, ma è proprio la generale disomogeneità locale nell’offerta di servizi e infrastrutture a intralciare il percorso di completamento dell’integrazione socio-sanitaria. È mancata soprattutto la mappatura dei servizi e dei bisogni sul territorio, base indispensabile per una visione del futuro e per una programmazione efficace, sia da parte dello Stato, che da parte delle Regioni e degli enti locali.
Solo per fare un esempio, sarebbe utile capire cosa si può dare ai pazienti dopo la chiusura di una struttura ospedaliera piccola e inefficiente e quali bisogni sanitari e socio-sanitari esprime la popolazione di riferimento di quel territorio. Per tali ragioni sembra importante, più che far proliferare sigle e nuovi contenitori di idee, programmare – non esclusivamente in termini ragionieristici – i servizi sanitari già presenti sul territorio, riqualificandoli e convertendoli, e assicurare un sistema di prevenzione integrato (primaria e secondaria) per tutta la popolazione. Solo quest’ultima azione, evitando degenze inutili, genererebbe un risparmio di 6,1 miliardi di euro l’anno in costi sanitari, e 5,6 miliardi annui di costi non sanitari, a fronte di una spesa sostenuta per medicinali attualmente pari a 6,3 miliardi di euro (fonte Farmindustria – 2013). In conclusione, possiamo sviluppare un nuovo modello sanitario centrato sulla persona e radicato sul territorio anche partendo da quanto già disponibile, in termini di risorse e strutture, ma è più che mai necessaria una volontà unitaria di collaborazione dell’area sanitaria e sociale, del mondo profit e no-profit, a livello locale e nazionale, puntando decisamente sulla capacità organizzativa degli operatori sanitari, e il coordinamento tra bisogni espressi dalla popolazione e servizi territoriali.