Il rapporto tra un consumatore sempre più maturo e consapevole e le imprese operanti nei settori regolati dei servizi a rete rappresenta uno snodo di competitività reale in un Paese dove il terziario avanzato rappresenta una quota crescente di PIL ma al contempo, negli ultimi 15 anni, anche il buco nero della produttività dei fattori produttivi in Italia. Proprio per questo ultimo motivo, aggravato da un quadro macroeconomico europeo a dir poco negativo, che pesa sia sui consumatori che sulle imprese, occorre perseguire con coraggio la strada dell’innovazione, se vogliamo minori costi a parità di servizio o maggiori servizi a parità di costo.
Con questa chiave di lettura principale va letto lo studio ‘Consumatori in rete 2013’ – presentato ieri da I-Com, Istituto per la Competitività, in un convegno che ha messo a confronto associazioni consumeristiche, Authority di garanzia e regolazione e imprese – che prende in esame gli aspetti cruciali di questo rapporto, circoscrivendo l’analisi al mercato della pay tv, dell’energia elettrica, del gas, dei servizi idrici e della telefonia fissa e mobile.
Dalla nostra analisi emerge nella sua interezza l’equilibrio inefficiente nel quale si trovano imprese e consumatori, le prime iper-regolamentate e costrette ad offrire servizi tradizionali costosi in un periodo di vacche magre, i secondi non in grado di trarre vantaggio sia in termini monetari che di qualità dei rapporti dalle opportunità che offre la digitalizzazione proprio nel momento di maggior crisi del Dopoguerra.
E’ arrivato dunque il momento in cui l’Italia debba dirsi pronta per una regolazione dei rapporti di consumo che continui a tutelare il consumatore (specie quello più indietro nella capacità di comprensione delle offerte e delle condizioni contrattuali e nell’utilizzo dei canali digitali), ma che allo stesso tempo non possa essere tarata solo o prevalentemente sul paradigma del consumatore poco tecnologizzato o cognitivamente debole (in generale, le due caratteristiche vanno insieme). In altre parole, la regolazione pubblica deve avere il coraggio di svolgere un ruolo pro-attivo per favorire l’innovazione, diventando un pilastro dell’implementazione in Italia degli obiettivi dell’Agenda digitale, dove siamo ancora terribilmente indietro. In questo modo, può ottenere due piccioni con una fava: consentire risparmi sui costi (con servizi possibilmente migliori di oggi) a beneficio di consumatori e imprese e diventare un driver di sviluppo della digitalizzazione di cui il Paese ha bisogno per diventare più competitivo (come mostrerà il Rapporto I-Com 2013 su reti e servizi di nuova generazione, che sarà presentato l’11 dicembre nel corso di un convegno).
In particolare, l’innovazione telematica può aiutare molto in tre aree critiche dei rapporti consumatori-imprese (tra le 5 individuate da I-Com): servizi di customer care, fatturazione e reclami e conciliazioni.
La regolazione dei servizi di customer care è oggi eccessivamente orientata sui mezzi (parametri quantitativi su tempi di risposta, accessibilità, ecc.) più che sui fini (qualità delle risposte e customer satisfaction) e centrata sui call center o sugli sportelli fisici, come se non fossimo mai entrati nell’era di Internet. Ponendo dunque in secondo se non terzo piano modalità decisamente più efficienti (ad esempio, il contatto in chat) e variegate, tra le quali il consumatore può scegliersi l’abito su misura.
Nella fatturazione, che è lo strumento principale di comunicazione post-contrattuale dei fornitori ai clienti, risparmi significativi potrebbero essere raggiunti se fosse ridotta la dimensione quantitativa delle bollette (in Italia il numero delle pagine è mediamente superiore al doppio rispetto ad altri Paesi europei e questo rischia di diminuirne la comprensibilità piuttosto che aumentarla) e soprattutto se come default option fosse data al consumatore la possibilità di riceverla via mail (qualora disponga di un account), prevedendo sconti tariffari almeno pari ai costi di spedizione. Ma anche in questo caso non è solo una questione di costi ma anche (e forse soprattutto) di qualità del servizio. Che potrebbe essere sensibilmente migliorato se solo si lasciassero libere le imprese di prevedere servizi aggiuntivi per aumentare il grado di consapevolezza dei consumatori, magari attraverso apps o altri canali web, riducendo lo spazio regolato alle informazioni essenziali.
Infine, nei reclami e conciliazioni andrebbe incentivata e nel giro di un tempo prestabilito resa obbligatoria la modalità online, salvo passaggi (nelle conciliazioni) da poter svolgere comunque in video-conferenza o via Skype.
Questi sono solo degli esempi che mostrano come potrebbero cambiare settori così importanti per il futuro del Paese, a beneficio dell’intero sistema. E’ troppo pretendere che le Autorità di regolazione si rendano conto di poter svolgere un ruolo importante nel processo di digitalizzazione del Paese e accettino la sfida di diventarne protagoniste?