Rapporto I-Com 2013 sulla digitalizzazione: gap significativo con il resto d’Europa ma l’inerzia può essere cambiata

Rispetto agli obiettivi dell’Agenda digitale europea sempre più ravvicinati e quindi sfidanti, appare oggi fuori tempo chiedersi se debba essere la domanda ad attirare l’offerta di banda larga e ultralarga o il viceversa, uno dei tormentoni principali dei dibattiti degli ultimi anni. Lo dimostrano inequivocabilmente i dati contenuti nel Rapporto I-Com 2013 su reti & servizi di nuova generazione, presentato oggi a Roma nel corso di un convegno pubblico.

Dopo la forte crescita negli anni compresi tra 2008 e 2010, si registra infatti nel nostro Paese un pesante rallentamento nei tassi di penetrazione della connessione delle abitazioni alla banda larga. Se le tendenze degli ultimi anni dovessero essere confermate, è facile prevedere che già tra il 2013 e il 2014 anche Bulgaria e Romania, oggi le ultime in classifica per questo indicatore, sopravanzeranno l’Italia.

Basti pensare che tra le Regioni italiane, inclusa la Provincia di Trento, nessuna fa meglio dell’Europa a 28 (72%). Se fosse una nazione europea, la provincia di Trento si collocherebbe al diciannovesimo posto, dietro Lettonia e Polonia e appena sopra Repubblica Ceca e Cipro mentre la Lombardia, locomotiva economica di un Paese che fa parte del G8, sarebbe ventiduesima, a pari merito con la Lituania ma dietro Cipro.

Il digital divide tra Nord e Sud va letto in questa chiave di mediocrità complessiva.Tutte e 6 le regioni del sud fanno peggio del peggior performer europeo (la Romania). In particolare, preoccupa la quasi completa stagnazione di Calabria, Molise e Campania, che negli ultimi due anni sono cresciute di pochi punti o frazioni di punto, segno che siamo in presenza di una barriera difficile da scalfire in assenza di uno sforzo straordinario di tutti.

Quel che preoccupa è anche la velocità delle connessioni broadband. Tranne Cipro, l’Italia è il paese con la minore percentuale di connessioni superiori a 10Mbps, che non raggiungono neppure il 15% del totale (contro una media europea del 59,2%).

E anche nel mobile, le performance non sono più rosa e fiori come un tempo, tali da controbilanciare le spine del fisso.

Considerando infatti i device, smartphone e tablet, oltre a SIM Card e connect card, l’Italia si colloca leggermente sotto la media europea (52% contro 54%), appena sopra Cipro e Grecia.

L’Europa mostra forti ed importanti segni di crescita verso gli obiettivi dell’Agenda Digitale, ma in questo percorso l’Italia continua ad accumulare ritardo, come testimonia l’IBI 2013 (I-Com Broadband Index), un indicatore sintetico delle performance in diversi settori dello sviluppo della banda larga arrivato alla sua terza edizione, che vede l’Italia attestarsi al terzultimo posto, davanti a Grecia e Cipro, con uno score pari a quasi metà di quello del leader della classifica, la Svezia.

In questo contesto critico, le indicazioni che vengono dal mercato sono però incoraggianti, sia dal lato delle infrastrutture che da quello dei servizi, entrambi rappresentati nel Rapporto I-Com, che nel terzo e ultimo capitolo presenta le attività nel nostro Paese di Alcatel Lucent, Ericsson, ING, Telecom Italia e Vodafone.

Pur in un momento di crisi, gli operatori italiani delle telecomunicazioni hanno ripreso ad investire in maniera importante nelle reti di nuova generazione, sia fisse che mobili e se il 2013 è da considerarsi come un anno di svolta in termini dei piani presentati dai player del mercato, il 2014 si annuncia come un anno decisivo per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi fissati, e potrebbe segnare una svolta nella rincorsa dell’Italia verso gli obbiettivi del 2020.

Anche nei quattro settori individuati nel rapporto I-Com (bancario, assicurativo, trasporti e grande distribuzione), il quadro appare in evoluzione, anche se i dati relativi agli investimenti in tecnologia da parte di questi settori denunciano alcune difficoltà. Secondo le rilevazioni di Assinform, il settore bancario è quello che investe maggiormente in ICT, con 6,4 miliardi nel 2012, davanti a quello della distribuzione (4,3 miliardi), viaggi/trasporti (2,2 miliardi) ed assicurazioni (1,7 miliardi). Tuttavia, solo quest’ultimo risulta in incremento rispetto all’anno precedente, mentre gli altri settori registrano cali, anche di un certo rilievo in alcuni casi.

Tuttavia, lo sviluppo dei servizi prosegue seguendo alcune chiare direttrici. Su tutti, il driver che si pone all’attenzione è quello del mobile in generale e dei mobile payments in particolare, trainati dalla penetrazione sempre maggiore dei device.

Questi dispositivi diventano strumenti fondamentali per compiere operazioni chiave in diversi settori, dal loro utilizzo per effettuare operazioni bancarie, all’acquisto di titoli di trasporto (mobile ticketing) sia per la lunga percorrenza, sia per il trasporto locale, o in generale per effettuare acquisti, anche grazie alle innovative modalità contactless, che permettono una maggiore semplificazione delle transazioni fino all’utilizzo dei cosiddetti mobile wallet.

Nell’ultimo anno e mezzo, la politica ha cercato di costruire un assetto normativo in grado di migliorare le condizioni per la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale italiana. L’azione del nuovo governo, in continuità con quello precedente, si sta concentrando su alcuni snodi importanti – anagrafe e documento digitale e conseguente interoperabilità e circolazione dei dati, semplificazione burocratica per cittadini e imprese – per i quali ha disegnato un’articolata architettura di governance del digitale.

Tuttavia, in attesa che questi primi importanti passi siano seguiti da un’attuazione quanto più rapida e coerente e sperando non rimangano impigliati nelle farraginosità della macchina amministrativa o peggio nei cassetti dei ministeri, occorre anche incoraggiare gli investimenti dei privati nelle reti e nei servizi, attraverso un monitoraggio costante dei risultati e incentivando i cittadini e le imprese a diventare sempre più digitali, al passo con le loro controparti europee. Solo con uno sforzo maggiore di quello attuale o degli ultimi anni, potremo pensare davvero di recuperare il gap con il resto d’Europa. Altrimenti l’inerzia ci condannerà alle posizioni di coda. Dove per la verità già siamo.

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.