Il 2013 è stato un anno intenso – e faticoso – per le lobby. I fattori che hanno contribuito a tenere vivo l’interesse sono tanti. C’è sicuramente il dibattito serrato nelle aule d’università e, soprattutto, nei palazzi del potere di tutto il mondo. C’è il racconto dei media, unito agli immancabili scandali politici e istituzionali. C’è stata anche una manciata di campagne di comunicazione, europee e statunitensi, che hanno aiutato a sensibilizzare l’opinione pubblica.
é vero che, facendo un bilancio, le chiacchiere hanno superato la sostanza. La proporzione tra parole spese sul lobbying e traguardi raggiunti segna una prevalenza netta delle prime sui secondi. E così nella classifica dei 10 grandi eventi delle lobby nel 2013 fanno il loro ingresso, oltre ai fatti, le promesse. Vediamoli:
1. Doveroso iniziare dall’Italia. Caso perfetto di promesse mancate. La prima, clamorosa, del governo. Stavolta sembrava fatta, e invece…palla in tribuna. Dopo un Consiglio dei Ministri turbolento (come si verrà a sapere più tardi) e una generica promessa di approfondimento affidata al Ministro Moavero, il tema ha perso appeal dalle parti di Palazzo Chigi, costretto a destreggiarsi tra le (sempre meno) larghe intese. Con il risultato che la tribuna – cioè il Parlamento – ha continuato a pasticciare. Ultimo caso, in ordine di tempo, quello del Movimento a 5 stelle e di Luigi Tivelli, lobbista intercettato e finito nel tritacarne mediatico. Promesse mancate sono venute anche da parte della relazione dei saggi di Napolitano (chiedevano di riformare le lobby, ricordate? Qui il resoconto) e, forse, dell’Unità per la Trasparenza del Ministero delle politiche agricole. Pareva dovesse essere il salvacondotto della trasparenza nelle lobby italiane, ma è stata ricusata dal Ministro in carica e giace sospesa nel limbo delle istituzioni mai morte (in ottima compagnia, peraltro). A consolarci restano soltanto alcuni casi virtuosi a livello regionale. Ma, fatti due conti, sembra proprio che il 2013 delle lobby lo ricorderemo probabilmente solo per il servizio de Le Iene, con il portaborse di spalle che racconta i lobbisti corrotti (Qui) e per la litigata in diretta tra Mentana e Ferrara, con ospite Luigi Bisignani (Qui).
2. Il 2013 si è confermato anno fortunato per la produzione “letteraria” sul tema lobby. Parlo sia di libri leggeri, propensi a dare spazio all’indiscrezione (uno su tutti, italiano ovviamente: L’uomo che sussurrava ai potenti, biografia di Bisignani), sia di libri più seri. Tra questi merita una segnalazione soprattutto Reshaping European Lobbying, di Guegen, voce autorevole in materia.
3. Lobby = soldi = politica. Anche nel 2013 (come sarà probabilmente nel 2014, nel 2015 e nei prossimi venti o trent’anni). Nessun evento particolare qui, solo tante informazioni che aiutano a comporre il puzzle. Soprattutto dagli Stati Uniti (leggi Qui) dove il volume di spesa per sostenere i candidati alle elezioni aumenta vertiginosamente, ma anche in Europa. In Uk ad esempio. A 3 anni dal famoso “Lobby is the next big scandal to happen” ci risiamo: 4 parlamentari, un conservatore ai Comuni e 3 Lord, due laburisti e un unionista nord-irlandese, vengono scoperti con le mani nel sacco. Ne hanno scritto e parlato in molti (Qui una raccolta di fonti di stampa).
4. Se parliamo di soldi, e magari anche di lobby, dobbiamo parlare di corruzione. E anche se, qui come nel punto precedente, non si dice nulla di nuovo, il dibattito è stato molto vivo. Lo è stato sicuramente in Italia, bastonata nell’indice della corruzione di Transparency International (Qui) e nella lenta applicazione delle nuove norme per contrastare il fenomeno (leggi Qui). A proposito di corruzione, anche la Cina ha avuto i suoi seri problemi al riguardo (Qui).
5. Ricorderemo il 2013 perché è stato l’anno in cui si è cominciato a parlare seriamente di riforma del registro europeo dei lobbisti. Strumento inutile in tutti i sensi: per la trasparenza, per la corruzione, per la credibilità della Commissione e del Parlamento. A difenderlo sono rimasti solamente alcuni lobbisti, molti di loro italiani, naturalmente preoccupati dall’idea che l’obbligatorietà possa costringerli a dichiarare per chi lavorano, con quali strumenti e mezzi (che poi è il punto centrale del registro). Peccato però che il dibattito sia ancora al “carissimo amico”. Lo dimostrano le ricerche di BM (Qui) e dell’OCSE (Qui un commento). Sottolineano un dato comune: non c’è affatto visione comune sulle lobby in Europa. Ed è un problema serio.
6. A proposito di riforme. Oltre all’Italia e l’Unione europea c’è anche l’Inghilterra. Entra a pieno diritto nella categoria promesse mancate. Finora si è solo parlato tanto, senza concludere nulla. Qui un reportage.
7. Tornando all’Italia, il 2013 è stato anche l’anno di Destinazione Italia. Al di la di qualche manierismo e di un approccio di grandi visioni (quando ci sarebbe bisogno soprattutto di piglio pratico, come ha ricordato più volte Dario di Vico) è un documento importante. Lo è perché segna il passo per rendere all’Italia la giusta dose di attrazione per gli investitori. E cosa c’entra questo con il lobbismo? C’entra eccome. Attrazione degli investitori significa anzitutto capacità di essere “lobbati” (leggi Qui). A proposito di lobby e mercato, imprendibile il contributo di Paolo Zanetto per l’Istituto Bruno Leoni, che riflette sul tema in modo lucido e con ottime argomentazioni.
8. Il 2013 è stato anche l’anno della democrazia digitale. E quindi, volendo, del cittadino o del no profit, che si fanno lobbisti. Qualcuno penserà che così si mischiano le carte e si fa confusione. Non è così. Il lobbying nel 2013 si è svolto spesso attraverso il supporto di canali digitali di partecipazione, coinvolgendo tante persone, magari in crowdsourcing. Separare nettamente tra partecipazione della società civile e lobbying professionale non ha più senso.
9. Più democrazia (digitale e non) e più trasparenza. é quello che ha chiesto la Sunlight Foundation, creando un apposito gruppo di lavoro per tirare giù le linee guida per disciplinare il lobbying nel mondo. Le linee guida le hanno scritte, ora bisogna vedere chi le applicherà (uno dei buoni propositi per il 2014)
10. Ma il 2013 è stato soprattutto il loro anno: i lobbisti. Com’è giusto che sia. Non solo nel male per fortuna. Anche nel bene. Per esempio per le buone promesse di carriera che si portano dietro (molte delle quali veritiere) o per quelle di rispetto delle pari opportunità (leggi Qui). Chissà che i buoni propositi di questi 12 mesi non si realizzino. C’è da aspettarne altri 12 per scoprirlo. E di sicuro non saranno noiosi.