Dall’inizio dell’anno sono emersi due annunci di policy importanti nel settore dell’energia.
Il primo riguarda l’Italia e una promessa di riduzione dei prezzi dell’energia del 10%, contenuta un po’ inaspettatamente nel Jobs Act delineato dal nuovo segretario del PD Matteo Renzi nella sua Enews dell’8 gennaio.
Il secondo è la discussione intensa a livello europeo sulla strategia al 2030 della Commissione europea su clima ed energia che dovrebbe essere presentata il prossimo 22 gennaio.
Del primo punto, insieme a tutte le dichiarazioni rilasciate da Renzi, in particolare quelle che sembrano confermare o smentire voci di rimpasto del Governo, si sono occupati estensivamente i giornali italiani. Anche se per ora non risulta molto chiaro da dove sia uscito fuori il 10% e soprattutto cosa riguardi e come sia possibile ottenerlo. Di certo, non sembra esserci uno studio approfondito sottostante ma, come ha affermato lo stesso sindaco di Firenze, si tratta soprattutto di un segnale, indirizzato in particolare alle piccole e medie imprese. Per ora, però, la platea dei destinatari del beau geste renziano è piuttosto indeterminata. In primo luogo di quale energia stiamo parlando? Come fanno notare sulla Voce Marzio Galeotti, Federico Pontoni e Antonio Sileo, il differenziale di costo con le imprese estere, evocato dallo schema di Jobs Act a giustificazione dell’intervento, sussiste nell’energia elettrica, non nel gas. E anche nell’elettricità si distribuisce diversamente per le diverse classi di consumo, riguardando principalmente le utenze medie e piccole. Comunque, anche restringendo di molto il perimetro dell’intervento renziano (per l’appunto ai consumi di elettricità delle imprese medie e piccole), si starebbe pur sempre parlando di consumi intorno ai 70 TWh annui che implicano costi intorno ai 12-13 miliardi di euro. Il 10% significherebbe 1,2-1,3 miliardi di euro, per i quali non sarebbe sufficiente la riserva dell’interrompibilità, evocata nell’e-news da Renzi, che al massimo frutterebbe 400 milioni di euro. Non pare dunque facile dare attuazione nell’immediato agli obiettivi energetici del neosegretario PD, se non ricorrendo a misure straordinarie. Che evocano spesso e volentieri, viste le molte esperienze del passato, distorsioni di bollette già sufficientemente complesse e le cui componenti riflettono più i successi delle lobby di turno o gli escamotage di politici e regolatori che l’andamento dei mercati. Svuotando il concetto di liberalizzazione di ogni reale senso al di là della vuota retorica. Il consiglio che diamo a Renzi è quello di lavorare prioritariamente sulla semplificazione delle componenti delle bollette e su un riequilibrio a favore delle piccole e medie imprese basato su una maggiore aderenza al mercato, piuttosto che sull’ennesimo artificio a carico di qualche altra categoria.
Mentre a Roma ci si preoccupa dell’immediato, in attesa di maggiori dettagli, a Bruxelles si pensa al futuro ambientale ed energetico al 2030, con tutte le conseguenze del caso per i singoli Stati membri. Solo ieri un grande giornale italiano è intervenuto sulla vicenda, che nel complesso sta passando sotto totale silenzio. Eppure, dopo la pubblicazione del Libro bianco della Commissione europea, che segue il Libro verde dell’anno scorso ed è attesa il 22 gennaio, i governi europei dovranno dire la loro nel Consiglio di marzo e, successivamente, il semestre di presidenza UE a guida italiana dovrà gettare le prime basi dell’iter legislativo. Ci sono dunque molte ragioni di responsabilità nazionale per interessarci il prima possibile e se possibile non a cose già decise a un tema che avrà un impatto forte sulle future generazioni. Per la verità non si può certo dire che sia stato con le mani in mano il Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, che insieme a suo colleghi di alcuni Stati Membri ha firmato ben due lettere indirizzate nelle scorse settimane ai Commissari europei al Clima e all’Energia. Ma non sappiamo se la sua posizione, a sostegno di obiettivi molto ambiziosi visti dall’angolo visuale del nostro Paese (qui cerco di dimostrarlo), sia personale, del suo dicastero o dell’intero governo. I Ministri interessati hanno per ora evitato di chiarire il punto, forse perché non vogliono alimentare polemiche (intento nobile anche se su temi come questo sarebbero benvenute), ma allora perché impegnare l’Italia al fianco di altri Paesi che hanno interessi divergenti dai nostri nella partita? E perché i giornali, che non si fanno problemi ad incalzare questo o quel ministro di questo Governo, non disturbano il silenzio stampa, alimentando un dibattito fondamentale per il futuro del Paese?
Eppure, sia sul taglio dei costi dell’energia promesso da Renzi che sulle posizioni del Governo italiano sulla strategia climatica ed energetica al 2030, entrambi tasselli importanti di policy, il primo nel breve-medio termine e il secondo nel medio-lungo periodo, di domande da fare ce ne sarebbero tante. Se solo si rinunciasse a una delle tante sul possibile rimpasto di Governo o su questioni decisamente poco rilevanti per il futuro dell’Italia, si farebbe un grande servizio al Paese.