Iniquità socio-economica e disuguaglianze sanitarie: un binomio pericoloso nell’Europa della crisi

Lo scorso 23 gennaio la conferenza finale dell’Equity Action comunitaria sulle disuguaglianze in campo sanitario ha messo un primo punto a un’iniziativa molto ambiziosa, cofinanziata dal Programma europeo per la salute e dai Paesi dell’EU-15 più la Norvegia. Nato con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze nel diritto alla salute, aiutare a migliorare le politiche a livello sia nazionale che regionale, coinvolgendo attivamente gli stakeholders, l’Equity Action è un network di 25 organizzazioni partner, 30 regioni europee e agenzie sanitarie pubbliche, fondazioni, comunità regionali. Il nostro paese è rappresentato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, l’Azienda Sanitaria Locale To3.

L’incontro conclusivo del progetto, coordinato dall’organizzazione internazionale HAPI (Health Action Partnership International), ha fatto il punto sui risultati ottenuti e illustrato le future priorità d’azione, insieme alle opportunità derivanti per l’Unione Europea, in questa ormai lunga fase di crisi economico-finanziaria globale. L’assunto è ben chiaro, e il Commissario Europeo alla salute Tonio Borg lo ha sottolineato anche in questa circostanza: le iniquità in materia sanitaria sono parte integrante dell’agenda politica e dei processi di governance economica, anche se “molto c’è ancora da fare”. In precedenti occasioni il Commissario Borg aveva già espresso un’altra valutazione che si sposa perfettamente con le dichiarazioni rese in quest’ultima sede, e cioè il valore intrinseco della salute, a prescindere dalle conseguenze economiche.

Nel corso della Conferenza conclusiva dell’Equity Action l’ha ricordato anche il Professor Marmot, fondatore dell’UCL Institute of Health Equity, presentando alcuni risultati del rapporto “Health inequalities in the Eu”, curato dall’istituto britannico per conto della Commissione Europea  e pubblicato lo scorso dicembre. Sebbene la salute globale dei cittadini europei sia in miglioramento, di fatto in molti paesi le diseguaglianze evitabili causate da povertà minorile, disagio sociale, disoccupazione e bassi indici di scolarizzazione determinano pericolosi gradienti sociali sul piano sanitario. Il livello di scolarizzazione potrebbe essere contrastato con iniziative già messe in campo da alcuni Stati (investimenti nell’istruzione, nella qualità del lavoro, in piani di sostegno alla famiglia, alla genitorialità e all’infanzia, nel rafforzamento dei sistemi di sostegno sociale).

Appare quindi sempre più evidente come il miglioramento della salute collettiva non possa prescindere dalla riduzione delle iniquità sociali da cui scaturisce quel gradiente socioeconomico che ancora caratterizza l’Europa e che getta ombre lunghissime sul presente e il futuro di quei Paesi europei che più duramente hanno subito i contraccolpi della crisi. E’ Il caso della Grecia, il cui Parlamento sta affrontando proprio in questi giorni un disegno di legge che riforma l’Ente nazionale per la prestazione di servizi sanitari (Eopyy) e che sta incontrando forti resistenze tra personale medico e sanitario in generale. Secondo il Rapporto del’UCL Institute la Grecia figura proprio in quella categoria di Paesi – compresi alcuni ricchi –in cui l’azione politica e riformatrice è scemata, al contrario di Danimarca, Regno Unito e Norvegia, che hanno intensificato le proprie risposte alle disuguaglianze in ambito sanitario.

Dallo studio dell’UCL Institute emerge anche che le difficoltà finanziarie costituiscono una ragione ancora più valida per investire in sanità, e che è fondamentale capire che le iniquità evitabili in questo settore sono da biasimare non solo per ragioni economiche ma anche per una questione di giustizia sociale. E questo da ragione dell’importanza attribuita – almeno sulla carta – dalle istituzioni europee e mondiali agli investimenti e allo sviluppo in sanità, per assicurare una crescita equa e sostenibile. Contrastare le disuguaglianze in campo sanitario è quindi una questione prioritaria dell’agenda europea,  che va affrontata anche con un decisivo cambio di prospettiva e di governance, secondo la Presidente dell’European Public Health Alliance (EPHA), Peggy Maguire. “Una leadership forte ed innovativa” che non può prescindere dal coinvolgimento dei gruppi socialmente più svantaggiati, quindi dal contributo del settore no profit che tradizionalmente li rappresenta. Respingere il tanto diffuso  approccio top-down a favore di strategie di policy making in cui le persone siano considerate agenti del cambiamento anziché solamente target delle azioni. La questione della riforma sanitaria in Grecia potrebbe proprio costituire il banco di prova per verificare se e come questi suggerimenti possano essere tradotti in concrete linee di policy.

Public Affairs e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Scienze Politiche all’Università La Sapienza di Roma, ha lavorato come redattrice per l’agenzia Axia curando approfondimenti e articoli per i mensili Technet ed Atlante su temi di sviluppo sostenibile, responsabilità sociale d’impresa, finanza etica, terzo settore e nuove tecnologie.

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