Illustre sconosciuto prima della sua nomina a Ministro dei Beni, Attività Culturali e Turismo del governo Letta, Massimo Bray nei dieci mesi in cui ha operato al Collegio Romano si è guadagnato l’apprezzamento di molti addetti ai lavori e non, grazie ad un approccio pragmatico poco incline ai riflettori che ha sempre anteposto gli atti concreti ai meri annunci programmatici. Per trovarne conferma è sufficiente ripercorrere i principali interventi messi in campo concepiti – aspetto inedito e rilevante – secondo una logica unitaria e di sistema nel quadro del cosiddetto Decreto Valore Cultura emanato l’estate scorsa. Il provvedimento ha introdotto importanti misure per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, con particolare riferimento all’area archeologica di Pompei ed Ercolano, nonché disposizioni per il rilancio del cinema, delle attività musicali e dello spettacolo dal vivo.
Un segnale di grande attenzione da parte dello Stato soprattutto in una fase di contrazione dei consumi immateriali come dimostrano gli ultimi dati resi noti da Federculture.
Circoscrivendo il campo alle sole attività culturali, la misura di maggior rilievo a nostro avviso è quella che ha reso permanente, dal 2014, il tax credit per il cinema introdotto con la Legge Finanziaria 2008 e oggetto, poi, di varie proroghe. Il beneficio è stato inoltre esteso anche ai produttori indipendenti di opere audiovisive (fiction, web series, etc…) rendendo disponibili ogni anno circa 110 milioni di euro sotto forma di crediti di imposta.
Il cambio di paradigma ha condotto ad un virtuoso incremento degli interventi indiretti a fronte di un progressivo ridimensionamento del tradizionale sistema delle sovvenzioni dirette che tante distorsioni aveva provocato negli ultimi decenni. Sistema che il Ministero ha voluto allargare anche al settore musicale prevedendo un credito d’imposta per le case discografiche e per le imprese organizzatrici e produttrici di spettacoli di musica dal vivo, allo scopo di sostenere il mercato dei contenuti musicali e l’offerta di opere dell’ingegno e di promuovere lo sviluppo di artisti emergenti. Per lo spettacolo dal vivo è stata avviata una profonda revisione dei criteri per l’erogazione dei contributi, che già a partire da quest’anno dovranno tener conto di un mix di fattori tra i quali l’importanza culturale della produzione svolta, i livelli quantitativi, gli indici di affluenza del pubblico e della regolarità gestionale.
Il Ministro ha puntato anche al risanamento delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche che ormai dai molti anni versano in condizione di difficoltà economico-patrimoniale e a rischio di commissariamento nonostante assorbano quasi la metà del Fondo Unico dello Spettacolo (187 milioni su un totale di 407 stanziati per il 2014), risorse che a mala pena servono a pagare il personale. E’ stato nominato un commissario straordinario del Governo, cui le fondazioni sono tenute a presentare un piano di risanamento, a fronte del quale è possibile ricevere finanziamenti a valere su un Fondo di rotazione, appositamente istituito con una dotazione di 75 milioni di euro per il 2014.
Sul delicato tema dell’equo compneso per copia privata cui abbiamo dedicato recentemente un post va apprezzata la scelta del Ministro uscente di non avallare le richieste avanzate dalla Siae, optando per una preventiva indagine volta a verificare in maniera scientifica quanti e quali dispositivi elettronici vengono in effetti usati dagli italiani per realizzare una copia privata. Il Ministro in questo caso non ha fatto altro che applicare il motto einaudiano “conoscere per deliberare”, fin troppo disatteso dai nostri politici.
Questa rapida e parziale carrellata di interventi dimostra che è possibile intervenire in modo incisivo e strutturale se c’è una reale volontà di cambiamento anche in un contesto di risorse finanziarie limitate: basti osservare che il Mibact nel 2013 ha avuto a disposizione un budget di poco meno di 1,5 miliardi di euro perdendo dal 2008 circa 1,3 miliardi di risorse per effetto della crisi della finanza pubblica e della contrazione degli investimenti privati.
Si spiega anche così la campagna attivata sui social media nei giorni che hanno preceduto la formazione del novo governo Renzi e che puntava alla riconferma dell’ex Direttore editoriale della Enciclopedia Italiana fondata da Treccani. Allo stesso modo vallo lette le dichiarazioni delle associazioni del settore audiovisivo Apt e Anica, in cui si è sottolineata “l’attenzione nuova che il Ministro Bray ha avuto verso i problemi dell’audiovisivo e la convinzione che ha mostrato del ruolo importantissimo che questa industria di produzione può svolgere per la crescita economica e civile del Paese”.
L’auspicio è che il nuovo Ministro Dario Franceschini, proseguendo nel percorso di riforme ben tracciato da Bray, possa osare di più, forte dell’autorevolezza e del maggior peso all’interno del partito di maggioranza.
Un primo forte segnale di cambiamento potrebbe riguardare la governance, provando ad esempio a trasferire (o per lo meno a condividere) sotto il proprio ambito di competenza l’area della Comunicazione (dove vengono tra l’altro vengono regolati i rapporti con le televisioni, in primis il servizio pubblico) attualmente incardinata in un Dipartimento all’interno del Ministero dello Sviluppo economico.
Si tratterebbe di una scelta coraggiosa in sintonia con l’evoluzione dei mercati e che peraltro riempirebbe di significato le prime parole pronunciate dal neo Ministro qualche minuto dopo il giuramento al Quirinale: “il mio Ministero è il più importante Ministero economico del Paese”. Per essere tale, aggiungiamo noi, dovrebbe occuparsi a pieno titolo dei cosiddetti “fornitori dei servizi media audiovisivi”, ovvero quegli operatori vecchi (broadcaster e telco) e nuovi (OTT) che sfruttano ed alimentano il mercato dei contenuti audiovisivi nel nuovo scenario della convergenza digitale. Si delineerebbe un assetto della governance maggiormente in linea con quelli già presenti in Francia e nel Regno Unito e che metterebbe il Ministero della Cultura, del Turismo (e della Comunicazione ?) al centro delle politiche di rilancio del Paese, nel tentativo di impostare una nuova politica industriale del settore televisivo, liberando il sistema dalle distorsioni di mercato che rendono precaria l’economia degli stessi grandi gruppi televisivi e ne indeboliscono la capacità di investimento. Un siffatto ridisegno del sistema delle comunicazioni contribuirebbe – come già sottolineato da alcuni addetti ai lavori – ad assicurare uno sviluppo più equilibrato di tutti i media, ponendo al centro il ruolo dell’industria di produzione dei contenuti culturali.