Il primo giorno di Parlamento e la Renzinomics

Anche chi ha imparato a conoscere la verve retorica del neopresidente del Consiglio rimane stupito da performance di bravura stilistica come il discorso per la fiducia tenuto lunedì al Senato (e la replica in tarda serata prima delle dichiarazioni di voto). Considerando anche che era la prima assoluta in un aula parlamentare e l’intervento di oltre un’ora è stato svolto a braccio. Un potente segnale di brillantezza che spicca nel grigiore al quale ci hanno abituato troppo a lungo e con troppe poche eccezioni le istituzioni nazionali. Tuttavia, chi scrive non è un critico teatrale né uno storico della politica. Dunque è abituato a misurare i discorsi soprattutto per i contenuti programmatici che racchiudono.

A cominciare dai temi toccati. Delle tre priorità basilari che individuavamo la settimana scorsa, diminuzione delle imposte, sburocratizzazione e digitalizzazione non solo della PA ma in generale della società italiana, Renzi non si è lasciato pregare sulla prima e sulla seconda mentre è stato decisamente più vago sulla terza (limitandola di fatto al pur importante rapporto tra PA e cittadini e in particolare alla possibilità per questi ultimi di monitorare i comportamenti della prima). Ma anche sui primi due temi, le soluzioni offerte sono poco dettagliate ma soprattutto non appaiono sempre coerenti con altre affermazioni o con l’impostazione generale.

In particolare sul fisco si dice di voler tagliare di almeno due cifre il cuneo fiscale, che potrebbe voler dire come minimo, secondo le diverse interpretazioni, il 10% in termini percentuali o 10 miliardi in termini assoluti. Nella prima ipotesi la dimensione dell’intervento si approssimerebbe a 30 miliardi di euro all’anno, ma anche volendo limitarsi a 10 è tutt’altro che agevole individuare la copertura, tenendo conto che riduzioni della spesa pubblica che per quest’anno non potranno andare realisticamente oltre alcuni miliardi di euro (intorno a 4 nelle previsioni iniziali del commissario alla spending review, che potrebbero salire forse a 6 con tutto l’impegno del caso). E soprattutto tenendo presente che nel programma pur parziale enunciato da Renzi sono esplicitati interventi di spesa che potrebbero essere rilevanti, dall’edilizia scolastica (alla quale nelle parole testuali del presidente del Consiglio dovrebbero essere destinati miliardi di euro e non qualche decina di milioni) al sussidio universale di disoccupazione. Per non citare la sacrosanta accelerazione del rimborso dei debiti della PA ai privati, del quale si discute animatamente l’impatto effettivo per le casse dello Stato.

Delle due l’una: o Renzi accetta il rischio di un gradualismo nel quale si sono impantanati i precedenti Governi oppure  si dovrebbe riflettere seriamente se trattare non tra 6 mesi ma da domani con le istituzioni europee lo sforamento temporaneo del vincolo del 3% (a fronte di una serie di condizioni queste sì molto dettagliate, tra le quali un’accelerazione del cammino delle liberalizzazioni, privatizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico). Per quanto il passo possa essere eretico e vada venduto molto bene proprio a quei mercati finanziari messi sarcasticamente a confronto con quelli rionali dal neopremier, si avrebbero finalmente ragionevoli speranze di superare la palude nella quale si sono impantanati i precedenti Governi, stritolati nella morsa della crescita zero o negativa e dunque con la necessità di  rinviare il grosso di riforme e provvedimenti a tempi migliori. Peccato che nel frattempo la situazione economica sfavorevole non abbia dato segnali di miglioramento e dunque le speranze iniziali siano morte prima di realizzarsi. Il discorso peraltro vale non solo per la riduzione della pressione fiscale o provvedimenti di spesa ma anche per riforme a costo zero in termini di budget che tuttavia attraggono formidabili opposizioni di interessi molto concentrati e per questo decisamente difficili da sconfiggere (si pensi alla riforma della giustizia e della PA oppure alle stesse liberalizzazioni). Un conto è poter offrire come moneta di scambio una sensibile riduzione del prelievo in busta paga o una prospettiva di crescita di cui si cominceranno ad assaporare presto se non oggi i primi frutti, un altro paio di maniche è una cornice economica e fiscale di per sé poco rassicurante.

Per questo, vorremmo che il coraggio di cui certamente Renzi ha dato prova nel corso della sua intera carriera politica e che ha evocato più volte negli ultimi giorni sia messo, nell’interesse stesso dei nostri partner oltre che di noi stessi, al servizio di un diverso rapporto con l’Europa. Così come di tante cause tradizionalmente difficili da trattare nel nostro Paese (dai tanti investimenti bloccati in infrastrutture, alcune volte non popolari nei singoli territori ma utili come il pane alla crescita dell’economia nazionale, alle biotecnologie alle quali guardiamo con gli occhi del Medioevo prossimo venturo, tanto per citarne solo alcune). Dall’energia e dall’efficacia con cui saranno affrontati questi ed altri snodi essenziali passa un pezzo importante del destino di un Paese alla ricerca di un futuro credibile, a fianco delle nazioni più sviluppate e moderne.

 

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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