Dal gennaio 2014 la Gran Bretagna ha adottato il modello di value based pricing, che sostituisce il tradizionale schema di pricing e rimborso dei medicinali regolato da un accordo su base volontaria tra associazione delle imprese del farmaco e governo, e che prevedeva la negoziazione del tasso di profitto atteso dalle aziende farmaceutiche su una base quinquennale. Sulla scia di questa modifica, il Dipartimento della Salute britannico ha chiesto al National Institute for Health and Care Excellence (NICE), organo responsabile della valutazione dei farmaci dispensati dal Servizio Sanitario nazionale, di includere nella propria strategia di assessment “benefici sociali più ampi”, considerando – oltre il costo e l’efficacia clinica del nuovo farmaco – anche il carico della malattia e il suo impatto sui pazienti, nel momento in cui si decide se quella terapia debba o meno essere resa disponibile dal Servizio Sanitario Nazionale. Lo scopo è far in modo che il prezzo sostenuto dal NHS per il nuovo medicinale sia più strettamente correlato al suo valore per i pazienti e per la società nel suo complesso. Come noto, il NICE effettua una valutazione dell’efficacia di una terapia sulla base dei Quality Adjusted Life Years (QALY), effetto combinato del numero e della qualità degli anni guadagnati, considerando la qualità della vita come l’insieme dell’l’impatto dei sintomi collegati alla malattia, gli effetti avversi indotti dalla terapia, il dolore, la mobilità e l’umore del paziente. Il livello di cost effectiveness del farmaco viene di conseguenza valutato calcolando il suo costo per ogni QALY ottenuto.
Nella predisposizione delle linee guida sulla valutazione, il NICE non si limita tuttavia a considerare i fattori costo e beneficio, ma adotta un approccio complesso, orientato – almeno sulla carta – a distribuire le risorse sanitarie nel modo più equo possibile. Questo almeno è quanto prospettato dall’istituto stesso nel documento “Social Value Judgements”, una sorta di “carta etica” in cui in cui sono formalizzati i principi per lo sviluppo delle linee guida che dovrebbero essere applicati nella fase decisionale relativa all’effettività e alla convenienza degli interventi, “specialmente” – si legge – “quando tali decisioni riguardino la distribuzione delle risorse del sistema sanitario nazionale”. L’impatto sociale che il Ministero della Salute chiede di considerare, come esemplificato dal Direttore Generale del NICE Sir Andrew Dillon, è l’effetto di una condizione patologica che riduca drasticamente la capacità di affrontare le “normali attività quotidiane, come il lavoro o il prendersi cura dei propri figli o parenti”. La verità è che il Ministero della Salute non ha ancora avviato alcuna consultazione formale sulla revisione dei criteri di assessment, ma la notizia è stata comunque diffusa dalla stampa britannica e in particolare dal Daily Telegraph, oltrepassando anche i confini nazionali.
Lo scorso 10 gennaio, tramite il proprio portale web, il NICE ha tentato di rassicurare l’opinione pubblica con un articolo intitolato significativamente “Behind the Headlines – will elderly patients miss out on new drugs?”. La scelta del titolo non sembra casuale, ma è una risposta diretta proprio al Daily Telegraph, che nelle settimane precedenti aveva paventato l’esclusione dai trattamenti terapeutici innovativi (es. farmaci salvavita) dei malati più anziani a favore di quelli giovani, in grado di garantire nel tempo un “ritorno” socioeconomico e ripagare i costi della terapia. Sir Dillon ha assicurato che la questione non è a che età si contragga una malattia, ma la capacità (più ampia) di trarre giovamento da un determinato trattamento terapeutico ed è su questa capacità che dovrà essere spostato il focus del nuovo modello value based pricing.
Il NICE dichiara di far fede a quanto indicato nel Social Value Judgements, quindi sembra che la questione etica sia ben presente nel processo di valutazione dei farmaci, che comunque dovrà rispondere prevalentemente a criteri evidence based e sempre più orientati alla sostenibilità finanziaria. Non sappiamo cosa accadrà di qui ai prossimi mesi in Gran Bretagna, ma intanto l’ipotesi che le fasce più vulnerabili della popolazione – nella fattispecie quella anziana – non siano in grado di accedere alle cure innovative e a specifiche terapie salvavita sta suscitando un dibattito notevole e crea forti perplessità soprattutto tra alcune charities tradizionalmente impegnate nel garantire un’assistenza socio-sanitaria fondata sui principi di uguaglianza di accesso, non discriminazione e solidarietà. A prescindere dalle decisioni che verranno adottate, sembrano comunque profilarsi – soprattutto nei sistemi sanitari europei a vocazione tradizionalmente universalistica – linee di policy sempre più sbilanciate a favore della “sostenibilità economica” del sistema. Nuove modalità di finanziamento e compartecipazione alla spesa per accedere alle prestazioni e modelli di valutazione e pricing dei farmaci maggiormente orientati su fattori economici sono stati adottati o sono nelle agende dei leader di Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Grecia. In molti casi – come quello greco – la questione etica è stata centrale perché la crisi finanziaria di quel Paese ha lacerato il tessuto sociale compromettendo l’accesso alle cure per la popolazione più povera. Nella programmazione delle politiche sanitarie, tuttavia, l’etica è un fattore sensibile che non può né deve essere trascurato in nessun Paese, come dimostra proprio il caso della Gran Bretagna, a prescindere dal PIL o dalla sua stabilità politica.