Le potenzialità ancora poco conosciute dei biocarburanti prodotti dai rifiuti

Nonostante il pacchetto clima energia messo a punto dalla Commissione Europea preveda molti interventi ambiziosi a livello ambientale ed energetico, c’è un aspetto che non è stato preso in considerazione. La proposta della Commissione non comprende infatti l’ipotesi di rinnovare l’obiettivo di riduzione delle emissioni nei trasporti, ma sembra piuttosto voler lasciar decadere la Direttiva sulla Qualità dei Carburanti, la quale punta a ridurre del 6% l’intensità di CO2 dei carburanti dal 2010 al 2020.

Un valido aiuto per arrivare a tale obiettivo potrebbe arrivare dall’utilizzo dei biocarburanti prodotti dai rifiuti, i quali  potrebbero soddisfare fino al 16% del fabbisogno europeo di energia per i trasporti su strada, consentendo di tagliare l’import europeo di petrolio di 37 milioni di tonnellate l’anno, iniettando 15 miliardi nell’economia rurale e creando fino a trecentomila nuovi posti di lavoro.

I biocarburanti sono carburanti, liquidi o gassosi, per i trasporti, ricavati dalla biomassa; i principali  sono il bioetanolo, il biodiesel e il biometano. In genere, sono prodotti da materie prime agricole (mais, grano, bietola, colza, canna da zucchero, olio di palma, ecc) e dalle biomasse, da cui si possono estrarre anche combustibili per la mobilità.

I biocarburanti sono potenziali sostituti della benzina e del diesel e consentono di ridurre le emissioni dei gas serra del 70%; inoltre, se prodotti in loco, riducono la dipendenza dai paesi esportatori di petrolio.

I biocarburanti vengono classificati tra le energie rinnovabili, in quanto il materiale biologico con cui sono prodotti immagazzina l’energia solare che è ritenuta inesauribile; però, a differenza delle energie rinnovabili classiche come il solare e l’eolico, i biocarburanti appartengono alle fonti rinnovabili il cui tasso di sfruttamento è opportuno se non supera il tasso di rigenerazione. In pratica, se ad esempio si vuole sfruttare un bosco per la creazione di biocarburante, è opportuno che la biomassa prelevata in un anno non sia superiore a quella generata dalla normale crescita annuale delle piante.

Come tutti i prodotti antropici, anche i biocarburanti presentano degli svantaggi rispetto alle loro alternative classiche costituite quasi esclusivamente dai prodotti di sintesi petrolifera: l’impiego massiccio delle materie prime agricole alimentari e l’utilizzo di aree agricole sempre più estese per la produzione dei biocarburanti a scapito di quelle adibite alle colture agricole tradizionali non può non provocare un aumento dei prezzi di prodotti agricoli di prima necessità e una diminuzione drastica della disponibilità delle derrate alimentari.

È bene precisare però che i biocarburanti vengono classificati in base alla natura della materia prima utilizzata e al loro processo di produzione. Essi si distinguono in: biocarburanti di prima generazione e biocarburanti di seconda generazione. I primi sono quelli prodotti da materie prime agricole come zuccheri e oli alimentari, i secondi sono quelli prodotti da materie organiche non alimentari come ad esempio scarti del latte, alghe e microalghe, e quindi la loro produzione non ha un impatto sul mercato agroalimentare.

Dunque ciò che si dovrebbe considerare è il potenziale energetico dell’enorme quantità di rifiuti e scarti che vengono generati in Europa tra settore agricolo, industriale e residenziale, al fine di poter produrre tali combustibili. Si parla di 900 milioni di tonnellate all’anno di materiale organico, dei quali circa 220 milioni potrebbero essere usati a fini energetici, tra cui di residui agricoli, rifiuti urbani organici, scarti forestali e olio di frittura usato.

E’ chiaro quindi che sia più sostenibile ottenere biocarburanti dai rifiuti rispetto alla produzione dei biofuel di prima generazione (parte dei biocarburanti di prima generazione ha bilanci in termini di CO2 addirittura peggiori dei combustibili fossili che dovrebbero rimpiazzare). I biofuel ottenuti da scarti e rifiuti hanno invece un bilancio in termini di CO2 almeno del 60% inferiore rispetto a benzina e gasolio, e in alcuni casi, come nel trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani per ottenerne biogas, si ha addirittura un bilancio negativo in termini di gas climalteranti, dovuto alle emissioni evitate di metano da decomposizione in discarica. Oltre a questo, i biocombustibili da rifiuti non entrano in conflitto con la produzione agricola a scopo alimentare, evitando quindi l’innalzamento dei prezzi dei cereali accennato prima.

Le risorse e le tecnologie per passare ai biocarburanti da rifiuti ci sono, servirebbe quindi un indirizzo a livello comunitario che al momento sembra mancare.

Laureata presso l’Università La Sapienza di Roma in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio, ha sempre dimostrato interesse ed attenzione ai problemi relativi all’ambiente e alle possibili soluzioni attuabili.

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