Le trasformazioni radicali che stanno dando un volto nuovo al panorama mondiale dell’offerta e dei servizi audiovisivi hanno subito una accelerazione a seguito dell’ingresso sul mercato degli OTT (Netflix, Hulu, Amazon…) che, attivi in tutte le fasi della filiera audiovisiva, dalla produzione alla distribuzione, stanno spingendo ad un riposizionamento degli operatori tradizionali, in particolare telco e broadcaster, i quali, vedendosi minare le posizioni acquisite in anni di dominio del mercato, sono costrette a rimodellare i proprio modelli di business – in particolare lato pay – in un ottica multimediale e flessibile.
Da alcune settimane il nome di Netflix, il colosso americano leader di mercato nello streaming vod di serie e film ha campeggiato insistentemente sulle prime pagine dei principali giornali transalpini in vista del prossimo sbarco in terra francese previsto entro il prossimo autunno. Proprio ieri (24 marzo) rappresentanti della società guidata da Reed Hastings hanno incontrato il Ministro della Cultura e della Comunicazione, Aurélie Filippetti per “negoziare” al più alto livello i termini del lancio del servizio dopo aver già preso contatti con Olivier Schrameck, Presidente del Consiglio Superiore per l’Audiovisivo, David Kessler consigliere culturale del Presidente Hollande nonché Fleur Pellerin, Ministro delegato all’economia digitale.
Mentre nel nostro Paese l’ingresso di questo servizio è stato rimandato al 2015 per ragioni principalmente legate al ritardo infrastrutturale che l’Italia sconta rispetto ai propri competitor europei, oltralpe si cerca di “limitare i danni” optando per una strategia negoziale molto pragmatica cercando di porre al new comer una serie di paletti sulle modalità di accesso al servizio e sulla scelta della sede operativa piuttosto che erigere sterili barriere protezionistiche. Sul primo versante si sta ad esempio discutendo se il servizio possa essere reso disponibile da qualunque dispositivo connesso o tramite il box di uno o più operatori che forniscono accesso alla rete come Orange. Sul secondo le autorità francesi per evidenti motivazioni di natura fiscale vorrebbero che Netflix aprissero una sede ad hoc a Parigi piuttosto che operare tramite la sede europea localizzata a Lussemburgo. Intanto emissari della società americana hanno già avviato una serie di trattative con i principali detentori di diritti (Studiocanal, Pathé, UGC, Gaumont, Lagardére) per dotarsi di un catalogo titoli francesi accattivante e al tempo stesso diversificato. Le risorse non mancano considerato che nel 2013 Netflix – forte dei suoi 45 milioni di abbonati – ha investito ben 2 miliardi di dollari nell’acquisto di diritti (poco meno della metà del suo fatturato) e ne ha riservato ulteriori 400 milioni per rafforzare la sua presenza in Europa.
Ma la vera partita in gioco sta nella capacità del governo francese di riuscire a far rientrare Netflix nel quadro degli obblighi di investimento cui sono già soggetti i diffusori francesi nonché vincolare la piattaforma al sistema che prevede un prelievo percentuale dai fatturati di coloro che traggono profitto dalla distribuzione di contenuti audiovisivi (broadcaster operatori tlc e fornitori di accesso ad Internet), assicurandosi in questo modo un cospicuo apporto finanziario da destinare a favore della produzione audiovisiva domestica a mò di compensazione dei ricavi che affluiranno nelle casse della società californiana. A testimonianza dei timori e del grande fermento in atto, l’11 febbraio scorso i tre grandi gruppi televisivi privati francesi (Tf1, M6 e Canal +) hanno reso pubblica una posizione comune nella quale hanno chiesto parità di trattamento sul fronte normativo in caso di arrivo di Netflix e migliori condizioni contrattuali nella commercializzazione dei diritti. L’unica rete televisiva a prendere serie contromisure al momento sembra Canal+ che nei mesi scorsi ha lanciato CanalPlay una offerta on line che propone la fruizione di film e serie ad accesso illimitato (già raccolte 400mila sottoscrizioni) e sembra interessata ad acquisire l’aggregatore Dailymotion che Orange vuole cedere.
Nel frattempo in Italia dove Mediaset con Infinity e Sky Italia più di recente con Sky On line si sono attrezzate lanciando le proprie offerte svod accanto a quelle già esistenti (Cubovision, Chili Tv), c’è anche chi non teme l’arrivo dell’operatore americano.
In una recente intervista alla rivista Formiche vicepresidente per l’area cinema, spettacolo e canali partner di Sky Italia, Andrea Scrosati si è detto convinto che “l’innovazione sia e resti la chiave per lo sviluppo del business di chi propone intrattenimento, informazione e approfondimento” aggiungendo che se “accanto ai soggetti che già oggi credono nell’innovazione se ne affiancheranno di nuovi questa sarà comunque un fatto positivo”.
In effetti la competizione nei prossimi anni si giocherà proprio sulla capacità di coinvolgere il pubblico inseguendolo sui vari dispositivi utilizzati spesso in contemporanea. Chi guarda la tv oggi infatti non si accontenta più dei vecchi programmi rivolti a tutti della televisione generalista di una volta, richiede una fruizione personalizzata, mentre sta svolgendo varie attività in multitasking. Ha probabilmente un tablet o uno smartphone con cui sta cercando informazioni sul programma che sta guardando, oppure sta controllando le mail o chattando con gli amici su una delle tante piattaforme di social network. Probabilmente starà commentando su Twitter in tempo reale quello che sta guardando in tv o starà condividendo qualche contenuto speciale correlato alla sua serie televisiva preferita.
Un fatto comunque è certo. Che la si guardi in maniera tradizionale, che se ne utilizzino le tante funzionalità di fruizione a richiesta o in differita, o che la si scelga per guardare video su Internet, è indubbio che guardare la tv continui ad essere il nostro intrattenimento domestico preferito.