Spending Raiview…in attesa di una riforma strategica

La Rai è stata chiamata a concorrere al risanamento dei malandati conti dello Stato al pari dei Ministeri ed altri enti pubblici. Per questo pezzo importante dell’industria culturale e audiovisiva nazionale per il quale si avvicina la data per il rinnovo della concessione (maggio 2016), ciò avviene paradossalmente proprio dopo l’annuncio del pareggio di bilancio nel 2013. Il “decreto Irpef” prevede che il Ministero dell’Economia trattenga dalle entrate che riceve dal canone 150 milioni di euro prima di girare il resto alla Rai. Il governo ha anche suggerito due strade – intervento di riorganizzazione sulle sedi regionali e cessione di una quota di Rai Way – per compensare le mancate entrate e mantenere in questo modo lo stesso livello di investimenti anche per il prossimo anno. C’è poi l’obbligo di rispettare il tetto dei 240mila all’anno per tutti i dirigenti pubblici, limite che dovrebbe incidere sui compensi di una quarantina tra manager e giornalisti della tv pubblica.

Le 24 redazioni regionali (incluse quelle bilingue) che attualmente danno lavoro a 750 giornalisti (cui vanno aggiunti tecnici e impiegati) costano tra i 300 e i 400 milioni di euro e attualmente soffrono come del resto tutti i canali pubblici il calo degli ascolti soprattutto al centro-nord. I risparmi potrebbero venire da un assetto più razionale sul territorio prendendo come modello la Bbc che è articolata in 10 zone (sebbene abbia molti più centri produttivi rispetto alla Rai). Riorganizzazione che in realtà era già stata proposta nel 1998 allorché l’allora Cda valutò ma non approvò (a causa delle resistenze dei politi locali) un progetto di riassetto basato su 6 macroregioni come qui ci ricorda uno degli ex membri di quel Consiglio.

Sugli impianti trasmissivi va ricordato che già in molti Paesi come Francia e Regno Unito la strada è quella di una separazione tra fornitori di contenuti e gestori delle reti. Il dossier sullo scorporo è stato sui tavoli di tutti i Consigli di Amministrazione che si sono succeduti negli ultimi 10 anni e che nel lontano 2011 in piena era analogica si era giunti ad un passo dalla cessione di una quota di Rai Way (2.300 siti, 23 sedi e 600 dipendenti tra ingegneri e personale operativo): a fare un’offerta erano stati gli americani della Crown Castle disposti a pagare circa 450 milioni per entrare in possesso del 49% della società (il valore complessivo infatti era stato stimato in 900 milioni di euro, mentre oggi sarebbe sceso a 600 milioni secondo Mediobanca) ma l’operazione fu stoppata “in zona cesarini” dall’allora Ministro Gasparri.

Il governo ha anche indicato un termine (60 giorni) entro il quale procedere ad una eventuale operazione di vendita (parziale) di Rai Way. Termine difficilmente compatibile con un serio piano di valorizzazione di un asset che resta strategico per l’azienda. La stessa Mediaset in Italia per fare cassa ha ridotto dal 65 al 40% la propria quota di controllo sulla società Ei Tower, raccogliendo quasi 300 milioni di euro da destinare probabilmente agli ingenti investimenti fatti sui diritti sportivi.

Oggi la “trattenuta” dovrebbe essere discussa dal Consiglio di Amministrazione della Rai ma in attesa di una reazione ufficiale da alcuni giorni serpeggia un certo nervosismo e si levano alti i cori di protesta anche da parte dei sindacati che parlano di attacco al cuore del servizio pubblico sostenendo che l’unico strumento utile sarebbe stato quello di far pagare il canone a tutti. Il provvedimento potrebbe anche essere impugnato per vizi di costituzionalità. Sulla questione canone il Governo stava studiando la possibilità di legarne il versamento non più alla detenzione dell’apparecchio ma o al pagamento della bolletta elettrica o – e questa sarebbe stata la soluzione caldeggiata dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli e da Viale Mazzini – al nucleo familiare. Ma i tempi per rendere fattibile questa operazione non erano evidentemente compatibili con il “decreto Irpef” varato dal governo. Le risorse potenzialmente recuperabili– secondo il dossier messo a punto dal Governo – sarebbero teoricamente pari a 600 milioni di euro e riguarderebbero il 26,5% dei nuclei familiari (pagano attualmente il canone il 68,7% dei nuclei, pari a 16 milioni e mezzo, con un gettito complessivo di 1,7 miliardi di euro). Il recupero stimato scende però realisticamente a 300 milioni di euro, risorse che nelle intenzioni originarie avrebbero potuto essere ripartite equamente tra Tesoro e Rai. Il gettito che sarebbe arrivato nelle casse pubbliche sarebbe stato quindi di 150 milioni, risorse che invece il governo ha deciso di trattenere chiedendo alla Rai di tagliare sulle sedi regionali e sugli impianti di trasmissione. Come dicevamo il taglio cade proprio nel momento in cui il direttore generale Gubitosi ha iniziato a raccogliere i primi risultati di una complessa opera di risanamento dei conti tra prepensionamenti e miglioramento di alcune criticità gestionali, riuscendo nell’impresa di chiudere il 2013 con il pareggio di bilancio (5 milioni di utili), un risultato importante considerando i 245 milioni persi nel 2012 e la contrazione della raccolta pubblicitaria. C’è il serio rischio che il prelievo forzoso possa arrestare il processo di austerity in atto considerando che quest’anno (pari) Rai dovrà sborsare 100 milioni per acquisire i diritti televisivi dei Mondiali di Calcio che si disputeranno in Brasile.

Alzando lo sguardo oltre i confini nazionali, nel Regno Unito la Bbc ha come esclusiva fonte di entrata il canone. Oltremanica si versano 174 euro e il tasso di evasione è sotto il 5% contro il 27% di casa nostra dove se ne versano 113,5 euro. La zietta si è vista costretta ad azzerare anche i ricavi commerciali del braccio commerciale Bbc Worldwide che garantivano 245 milioni di sterline all’anno. Per risanare i conti si è deciso di recente di chiudere il terzo 3 canale lanciato nel 2003 destinato ai giovani (andrà solo on line su Iplayer) consentendo di risparmiare 50 milioni di sterline in un anno (si è però in attesa dell’avallo del Bbc Trust) oltre che tagliare sui compensi più alti dei manager nell’ambito di un piano di risanamento dei conti che prevede risparmi per 837 milioni di sterline da qui al 2016. Va detto che oltremanica per cercare di mantenere gli stessi livelli di competitività si è avuto il coraggio di fare interventi drastici sul personale già 10 anni fa quando venne avviata una dolorosa cura dimagrante per quasi 3mila dipendenti pari al 10% della forza lavoro, tagliando le cosiddette “infrastrutture burocratiche” senza toccare le redazioni giornalistiche.

Da almeno 15 anni si cerca di rendere più efficace la governance della Rai e al tempo stesso di adeguare il modello di business ad uno scenario tecnologico in evoluzione costante. Abbiamo assistito al varo di ambiziosi piani industriali di medio e lungo periodo, alla elaborazione di disegni di legge che hanno alimentato grandi aspettative.

In attesa di una riforma strategica troppo a lungo rimandata, non bisogna mai dimenticare che – come è stato sottolineato da un ex membro del CdA – è sulla qualità dei suoi programmi, sulla creatività, sulla capacita di far fronte a contenuti innovativi per il web, che la Rai si gioca la sua credibilità e il suo futuro, nel passaggio da broadcaster a media company.

Una metamorfosi necessaria come lasciano intendere gli obiettivi del piano industriale 2013-2015 presentato da Gubitosi qualche giorno fa per risalire faticosamente la china tenendo conto che negli ultimi due anni la Rai ha perso quasi il 30% degli introiti pubblicitari (il doppio di quanto abbia perso Mediaset), che il tasso di morosità è in crescita e che questo è un anno pari e come ben sanno gli addetti ai lavori i conti ne risentiranno.

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