Il convegno I-Com “Crescere in salute in Italia e in Europa: le priorità del semestre di presidenza italiana dell’UE” del 10 giugno scorso è stato un’occasione stimolante per dibattere su due temi di interesse centrale per la sanità e per il futuro del nostro Paese e d’Europa. I temi della Sostenibilità e della Competitività, l’uno puntello dell’altro, in un momento storico complesso sia per la delicata congiuntura economica che per l’evoluzione dei bisogni di salute delle popolazioni. In altre circostanze si è a lungo discusso sia del contributo dell’industria della salute alla crescita e al benessere complessivo negli Stati, che della visione non omogenea che i vari partner europei hanno rispetto alle potenzialità della spesa sanitaria come driver di sviluppo. E’ necessario ora che queste differenze siano appianate e che le diverse velocità a cui viaggiano i sistemi sanitari europei si armonizzino e convergano verso una strategia comune. In questa direzione chiama la Direttiva comunitaria sull’Assistenza Transfrontaliera, primo strumento concepito in seno alla UE per avviare un’integrazione dei sistemi sanitari basata su regole qualitative e procedurali condivise tra gli Stati membri.
Tale condivisione non è più una chimera e questo è stato riconosciuto negli interventi che si sono succeduti il 10 giugno, tuttavia è emerso che debbono essere le istituzioni, gli operatori sanitari, i cittadini ai singoli livelli nazionali a dare contenuto a questo progetto. Non si può immaginare che i cambiamenti necessari siano calati dall’alto, viste le differenze tra i vari Paesi nella regolamentazione, nei meccanismi di finanziamento, nelle strutture e negli outcome dell’assistenza sanitaria ed è proprio questa la grande sfida e opportunità offerta dalla Direttiva. Migliorare gradualmente il livello qualitativo dell’offerta, concorrendo a far emergere le buone pratiche ed eccellenze che esistono nei vari sistemi, coordinando gli standard di qualità dei Paesi partner. Per il nostro Ssn tutto questo può anzi deve essere il definitivo banco di prova.
Anche l’OMS ha mostrato perplessità per l’anomalia italiana nella governance della salute, eppure i fattori che hanno dato vita all’attuale sistema sono noti da tempo. Tra questi un’allocazione distorta delle risorse, scarsa accountability, limitate competenze manageriali nelle organizzazioni sanitarie, inadeguata formazione di professionisti, insufficiente coinvolgimento delle associazioni di cittadini/pazienti. In più – nonostante sia evidente il contributo della filiera della salute (farmaci e dispostivi medici) – manca una saldatura tra mondo della Ricerca, Imprese e Istituzioni, e il capitale umano non sembra essere valorizzato a pieno. Qualcuno ha ricordato che abbiamo un’edilizia ospedaliera tra le più obsolete d’Europa, ma c’è anche chi ha anche evidenziato il patrimonio di competenze dei medici e dei professionisti sanitari, pure sottopagati rispetto ai colleghi di altri Paesi. C’è chi ha sottolineato che a scarseggiare non è tanto la qualità dei nostri servizi (meglio dire di alcune strutture e alcune prestazioni), quanto la performance del servizio sanitario nel suo complesso.
Se manca però una visione comune tutto ciò potrebbe polarizzarsi ancora di più, a danno delle Regioni meno virtuose, col rischio di farsi trovare impreparati anche al confronto con altri sistemi sanitari europei. Per l’Italia, quindi, la Direttiva è una carta fondamentale da giocare per decollare laddove sinora non si è riusciti e portare a termine quelle riforme attese da tempo. Il riordino della governance sanitaria tra Stato e Regioni è la prima questione da risolvere, poi occorre non preservare solo il buono ma sradicare quel che non va, puntando al rinnovamento delle dotazioni infrastrutturali e tecnologiche senza le quali non sarebbe immaginabile la rimodulazione dell’offerta sanitaria ospedale-territorio che tanti auspicano. Infine i LEA, che vanno aggiornati e concettualmente rivisitati non in chiave quantitativa ma piuttosto qualitativa, tenendo conto dei fabbisogni socio-sanitari emergenti. Come in altri ambiti, insomma, sfide e opportunità si presentano numerose ed insieme. All’Italia potrebbe essere utile una visione culturale della politica sanitaria completamente nuova, che sappia coniugare impatto sociale e industriale, iniziando ad affrontare il cambiamento a partire dal prossimo semestre di presidenza europeo.