Il 12 giugno scorso si è svolto presso Palazzo Massimo a Roma un workshop sul ruolo dei nuovi player nel finanziamento alla produzione audiovisiva organizzato dall’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – DG Cinema.
E’ sotto gli occhi di tutti la rivoluzione che sta mettendo seriamente in discussione gli equilibri economici che per anni hanno caratterizzato il mercato della produzione e distribuzione dei contenuti audiovisivi e i relativi modelli di business. L’’ingresso nell’agone competitivo dei nuovi operatori della rete – i cosiddetti Over the Top Television – impone un ripensamento del quadro regolatorio comunitario fondato sulla direttiva sui Servizi Media Audiovisivi e che al momento tranne rare eccezioni prevede una serie di obblighi di investimento e di programmazione in opere europee solo a carico dei broadcaster tradizionali. L’incontro è stata l’occasione per esaminare il ruolo dei nuovi attori, in particolare dei servizi audiovisivi on demand, nel sistema del sostegno pubblico alla produzione cinematografica.
Il workshop di esperti europei ha offerto alcuni approfondimenti relativi al funzionamento delle misure di sostegno per il settore cinematografico presenti in Europa, tanto da un punto di vista economico, quanto normativo. Tra i principali temi dibattuti segnaliamo:
– gli obblighi dei player tradizionali per il finanziamento alla produzione cinematografica, e riflessione sulla misura in cui tali obblighi siano applicabili ai nuovi player;
– la rilevanza dei contributi alla produzione cinematografica in termini economici;
– una selezione di sistemi nazionali che prevedono l’obbligo per i servizi audiovisivi on demand di contribuire al sistema di finanziamento della produzione cinematografica.
Quello che è emerso dal workshop è la presenza di un quadro normativo ancora molto frammentato che fa fatica a stare al passo con un mercato sempre più vivace e dinamico. Consultando il data base Mavise dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo si scopre che sono oltre 3.000 i servizi on demand che hanno sede nell’Unione Europea (aprile 2013): tali servizi hanno generato una spesa pari a circa 1 miliardo di euro. Si tratta di offerte molto diversificate tra loro che vanno dalla catch-up TV alle news e a una pluralità di altri contenuti (di interesse generale, film, fiction, musica, animazione e trasmissioni televisive). La maggior parte dei servizi (quasi 900) sono di catch-up tv (spesso free), 529 sono dedicati ai soli film e meno di 100 al TvVOD. Il problema è che il 60% di tali servizi ha sede al di fuori del Paese dove i contenuti sono accessibili e non fornisce dati dettagliati sul valore del proprio business. Le principali piattaforme di origine americana come ITunes, Xbox e Netflix ad esempio hanno infatti posto la loro sede in Lussemburgo con evidenti benefici anche in termini fiscali.
Mentre il leader mondiale dello streaming vod in abbonamento Netflix avanza a spasso spedito anche in Europa dove è già presente in diversi mercati del nord ed entro il 2015 estenderà le sue attività anche in Francia e Germania (oltre ad Austria, Svizzera e Belgio), sono ancora pochi i Paesi che hanno adottato strumenti per imporre ai nuovi player le regole già previste per broadcaster e operatori telco. Come riporta l’attento e qualificato magazine on line cineguru che ha dedicato un approfondimento al convegno del 12 giugno, quello francese rappresenta senz’altro il sistema più avanzato essendo già stato introdotto a livello normativo un obbligo di investimento in capo agli operatori di video on demand sebbene limitato solo a quelle imprese che superino un fatturato di 10 milioni di euro in modo da non penalizzare i soggetti più deboli in un mercato che è ancora in via di sviluppo. Anche altri Paesi hanno iniziato ad attrezzarsi dotandosi di regole volte a garantire un flusso di risorse dagli operatori on demand verso il settore della produzione di contenuti audiovisivi. Sta facendo molto discutere ad esempio l’iniziativa intrapresa di recente dalla Germania che intende tassare i servizi vod che non hanno sede del proprio territorio per la parte dei ricavi realizzati tramite portali in lingua tedesca, da utenti geolocalizzati in quella nazione e con transazioni non soggette ad altro tipo di imposizione fiscale. Tale innovazione (al momento in fase di discussione con la Commissione Europea per verificare la compatibilità con le garanzie previste dai Trattati) se adottata ed estesa a tutto il mercato europeo avrebbe ricadute a catena su molti altri servizi e comparti industriali.
Nel nostro Paese – dove è molto acceso lo scontro tra broadcaster e OTT sul “level paying field” – Agcom ha avviato una consultazione pubblica in materia di produzioni europee nei servizi on demand con l’obiettivo di estendere gradualmente alla luce dell’evoluzione del settore l’applicazione dei principi generali di promozione delle opere europee anche ai servizi VOD soprattutto con riferimento alla tutela degli utenti e dei minori, al diritto d’autore, alle comunicazioni commerciali e alle opere europee. Su quest’ultimo tema l’Autorità intende, in primo luogo, chiarire che gli obblighi di emissione e di investimento si applicano a tutti gli operatori VOD, anche se non autorizzati. Tale orientamento è legato anche all’attuale difficoltà di disporre di una mappatura chiara e trasparante di tutti gli operatori attivi nell’erogazione di servizi video on demand. Un primo interessante tentativo è stato fatto da Confindustria Cultura con questa mappa dei contenuti, una guida aggiornata sull’offerta legale digitale in rete. Inoltre, Agocm – come riporta lo stufio legale specializzato Portolano Cavallo si propone di inserire una disposizione diretta a promuovere l’adozione, da parte dei fornitori di servizi VOD, di misure volte a dare rilievo (“prominence”, secondo il testo inglese della direttiva 2010/13/UE) alle opere europee presenti nei loro cataloghi. Agcom non intende imporre ai fornitori di servizi VOD alcun obbligo di dare rilievo ai contenuti europei, ma, quale incentivo in favore degli operatori che decidano di adottare misure in tal senso (da definire in via di co-regolamentazione), è previsto il beneficio della riduzione del 20% delle quote di emissione e di investimento (alternative tra loro).