Il destino incerto delle Autorità di regolazione tra esigenze di razionalizzazione e attrazione degli investimenti

In un recente incontro I-Com, il presidente dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, Guido Bortoni, si è soffermato sulla distinzione tra stabilità e certezza del diritto. Mentre la prima, applicata alla lettera, impedisce quella evoluzione necessaria a tener conto del mutare delle circostanze e dunque è per definizione sub ottimale, la seconda è essenziale per garantire la fiducia necessaria a tutti gli attori del mercato (imprese, consumatori e terze parti) per compiere le scelte migliori in ragione delle proprie preferenze. È la seconda ad essere la pietra miliare del mandato di un’Autorità di regolazione indipendente, alla quale spetta prendere decisioni ex ante destinate a durare una pluralità di anni (si parla appunto di periodo regolatorio, in generale compreso tra 3 e 5 anni). L’indipendenza serve proprio a garantire la certezza che le regole approvate, dopo un confronto il più possibile trasparente con tutte le parti interessate, durino il tempo necessario a stimolare gli investimenti a beneficio dei consumatori e dell’economia del Paese. E’ grazie a questo meccanismo, tutt’altro che semplice e certamente perfettibile come tutte le cose umane, che in Italia i settori sottoposti a regolazione indipendente fin dalla fine degli Anni Novanta, l’energia e le telecomunicazioni, hanno attratto investimenti per alcune decine di miliardi di euro, in gran parte provenienti direttamente o indirettamente dall’estero. Lo strumento è stato talmente efficace che si è deciso al tempo del Governo Monti di affidare all’allora Autorità per l’energia elettrica e il gas anche la regolazione sul sistema idrico, nel quale sono necessari investimenti al ritmo di alcuni miliardi l’anno nei prossimi decenni per assicurare ai cittadini standard qualitativi degni di un qualsiasi paese sviluppato. Investimenti che ovviamente lo Stato non è in grado di sostenere finanziariamente e che dunque devono in larga parte provenire da attori privati, con l’ulteriore difficoltà di una cornice giuridica azzoppata dal referendum sull’acqua del 2010. Con un paziente lavoro di costruzione di un quadro coerente di norme e acquisendo progressivamente le necessarie competenze tecniche, l’AEEG, che nel frattempo ha cambiato nome in AEEGSI, proprio per includere nella propria ragione sociale le nuove competenze, sta cercando di creare le condizioni più favorevoli per attrarre gli investimenti necessari, con il minimo aggravio tariffario possibile per i consumatori. Tuttavia, molti altri passaggi sono necessari e soprattutto la bontà del lavoro va confermata ogni giorno nei prossimi anni e decenni perché l’obiettivo sia raggiunto. Eppure basta una legge, o in questo caso un decreto legge, per mettere in pericolo tutto ciò, non solo ovviamente per quanto riguarda gli investimenti nel sistema idrico ma anche nelle reti delle tlc, energia elettrica, gas e ora anche trasporti.

Naturalmente, muovendosi opportunamente sul crinale tra stabilità e certezza del diritto, il Governo e il Parlamento sono liberi di promuovere cambiamenti che interessino le Autorità. Tuttavia, qui ancor più che altrove occorrerebbe chiedersi se il mutamento del quadro giuridico rechi degli evidenti benefici e non rischi invece di portare maggiori e insostenibili costi. A nostro avviso, l’articolo 22 del Decreto Legge 90 recante “misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, non supera questo test.

I benefici di gran parte delle norme appaiono trascurabili o comunque poco significativi, tanto più che, come abbiamo ricordato altrove, le entrate delle Authority in questione non sono a carico dello Stato ma dei soggetti regolati e su questi ultimi nulla si prevede nel decreto rispetto a una riduzione della fascia di contribuzione (che peraltro è stata appena abbassata dall’AEEGSI). Tra l’altro queste circostanze rendono del tutto censurabile la scelta di utilizzare lo strumento del decreto legge. Un approccio su cui non potevano non sollevarsi dubbi.

Tra i maggiori costi un ruolo centrale lo riveste proprio la maggiore incertezza che ne consegue sulla capacità di funzionamento delle Autorità e dunque sulla possibilità per le stesse di continuare ad assicurare un quadro giuridico certo e coerente. Rientrano in questa prospettiva il blocco dei bandi per l’assunzione di personale (che inciderà soprattutto sui nuovi settori di competenza delle Autorità delle comunicazioni e dell’energia e del sistema idrico e sulla neonata Autorità di regolazione dei trasporti), in attesa dell’avvio di una gestione comune delle procedure concorsuali (da realizzare tra ben 9 organismi giustamente gelosi della propria autonomia nella scelta delle risorse umane) e lo spostamento della sede in un’unica città – inevitabilmente la Capitale – che rischia di provocare una fuga di massa o comunque un lungo e aspro contenzioso sindacale e giudiziario, che alla fine peraltro potrebbe più che compensare gli auspicati risparmi di spesa. Ma, sul piano dell’incertezza del diritto, a pesare sui settori dell’energia e del sistema idrico potrebbe essere soprattutto lo spostamento del TAR competente a giudicare gli atti in funzione dell’accentramento su Roma. In questi oltre 15 anni di operatività, il TAR della Lombardia ha sviluppato una notevole competenza in materie tecniche e alquanto complesse. Accentrando tutte le autorità in un’altra città, le competenze specifiche maturate in questi anni dal TAR in questione inevitabilmente andrebbero perdute, a meno di non immaginare trasferire d’imperio anche i magistrati amministrativi, cosa difficilmente praticabile (e certo non a costo zero). E senza considerare il certo ulteriore ingolfamento del TAR del Lazio, a cui, come è noto, già spettano le controversie relative ad atti provenienti da una amministrazione statale avente competenza ultra regionale.

Al limite sarebbe stato meglio accompagnare una misura del genere con previsioni che consentano ai giudici amministrativi di vagliare esclusivamente la correttezza amministrativa dei provvedimenti senza sconfinare nelle tecnicalità proprie dei regolatori.

Ma altre norme, riflettendoci meglio, avrebbero potuto essere prese per rafforzare proprio la certezza del diritto, a cominciare dalle procedure di selezione dei vertici. Ipotizzando ad esempio nomine temporalmente sfalsate, per assicurare un’evoluzione graduale e una continuità di pensiero e azione ma anche una selezione basata più sul merito che su accordi politici perché di volta in volta i riflettori sarebbero puntati su una sola persona e gli spazi per trattative al ribasso sarebbero più limitati. Insieme alla previsione di audizioni della personalità designata prima del voto delle commissioni competenti e al quorum di due terzi per la conferma da generalizzare per tutte le Autorità, sono queste le riforme di cui si sentirebbe davvero il bisogno.

Per assicurare che sui principali servizi del Paese vigilino i più competenti e non amici, ex colleghi o il caso.

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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