Se i tribunali lanciano un’OPA sulle principali aziende del Paese. La singolare vicenda di Italgas

Nella relazione finanziaria 2013 di Snam, un intero capitolo è dedicato a un’analisi dei rischi potenziali, a beneficio degli investitori. Ne sono individuati ben 16 diverse tipologie e sottotipologie, da fattori esogeni come il rischio di variazione dei tassi di interesse e i rischi connessi a particolari situazioni socio-politiche dei Paesi produttori e dei paesi di transito del gas naturale (leggi querelle russo-ucraina) ai rischi derivanti dalla necessità di gestire un elevato flusso di informazioni per operare i servizi regolati. Nessuna menzione però, neppure nei fattori di rischio operativo (cioè endogeno) e neppure in nota o in mezzo rigo nel testo, di possibili violazioni del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, relativamente a rapporti contrattuali con fornitori.

Possiamo dunque immaginare la sorpresa degli azionisti di Snam, a cominciare dagli investitori istituzionali (51,07% del capitale a fine 2013), in parte rilevante stranieri, e dai piccoli investitori (9,54%), alla notizia che il Tribunale di Palermo ha notificato in data 11 luglio 2014 a Italgas la misura preventiva di amministrazione giudiziaria, conferendola all’organo amministrativo collegiale, formato da 4 persone nominate dallo stesso Tribunale. La durata della misura è di 6 mesi, che verranno utilizzati per ulteriori accertamenti su alcuni rapporti di fornitura con aziende in odor di mafia (ma che apparentemente sono state assolte dalla stessa magistratura) e al termine dei quali si potrebbe arrivare in linea teorica perfino alla confisca dei beni.

Non vogliamo entrare naturalmente nel merito della questione, che evidentemente contiene vicende vere o presunte di estrema serietà né sulla correttezza del provvedimento in base alle norme vigenti. Ci soffermiamo piuttosto sui possibili impatti della decisione del Tribunale sull’operatività di una storica società che, direttamente o attraverso le sue controllate, distribuisce il 23,1% del gas naturale in Italia (dati 2012 dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico), che ne fanno il primo operatore italiano. Italgas, che contribuisce per poco più di un terzo ai ricavi di Snam (1,315 miliardi su 3,735 nel 2013) e ha la metà dei dipendenti totali (ben 3008 su 6045), è concessionaria del servizio di distribuzione del gas in 1435 Comuni italiani, di cui 98 in Sicilia. In valore percentuale stiamo parlando del 6,8% sul totale delle concessioni detenute sul territorio nazionale. Non sappiamo se questo dato possa influire o meno sull’interpretazione delle norme vigenti e sulla loro applicazione in base alle leggi anti-mafia. Tuttavia, sotto il profilo dell’analisi economica, sembra dimostrare un’evidente sproporzione tra l’area potenzialmente interessata da rapporti sospetti con aziende fornitrici per lavori di manutenzione delle reti e il valore e la missione dell’azienda, che appaiono decisamente più ampi. E che un’amministrazione giudiziaria di 6 mesi, dopo la quale la vicenda potrebbe non essere ancora conclusa, potrebbe depauperare o gettare nell’incertezza.

E’ vero che si tratta di di attività regolate remunerate in tariffa ma la gestione di un’azienda che esercisce una rete di 53.000 chilometri (più di una volta la circonferenza della terra) e 5,9 milioni di contatori non può essere svolta con il pilota automatico (o giudiziario). Ad esempio, nei prossimi mesi dovrebbero iniziare le gare gas attese fin dal Decreto Letta del 2000 e poi rinviate o addomesticate con ogni tipo di stratagemma normativo. Ammesso che non ci siano ulteriori rinvii, si tratta di una rivoluzione copernicana che riduce gli ambiti territoriali a 177 e introduce criteri di gara uniformi a livello nazionale. In questo momento così cruciale per gli operatori della distribuzione, quali ripercussioni potrebbero esserci per la definizione e l’attuazione delle strategie aziendali? Non sarebbe stato meglio in questa (come in altre circostanze) mettere in sicurezza la continuità aziendale e ricorrere a misure cautelari individuali nei confronti dei presunti responsabili delle irregolarità (ed eventualmente degli stessi vertici dell’azienda nel caso si fosse valutata non adeguata alle circostanze la loro collaborazione con l’autorità giudiziaria)? Oppure, o in aggiunta, attraverso interventi chirurgici che tagliassero i fili tra Snam e alcuni fornitori sospetti, almeno in attesa della chiusura dell’indagine e degli eventuali gradi di giudizio?

Domande che ci facciamo noi ma, crediamo, anche gli azionisti di Snam che sui documenti di bilancio relativi al 2013 non avevano letto nessun riferimento a rischi legati alla compliance con leggi-antimafia. Tra questi azionisti, ricordiamocelo, ci sono in primis anche 60 milioni di italiani. Che rischiano di assistere alla perdita di valore di uno dei principali asset dello Stato italiano, non per loro colpe.       

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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