Dall’equo compenso ad un aumento dei prezzi il passo è breve…

Nonostante la straordinaria rilevanza assunta dal mobile come volano di sviluppo del settore e come strumento di alfabetizzazione digitale e nonostante le proteste degli operatori del settore, un mese fa circa è stato disposto l’aumento da 90 centesimi a 4 euro del compenso per la copia privata di fonogrammi e di videogrammi previsto dalla legge sul diritto d’autore a carico di smartphone e tablet.

All’indomani della decisione sono stati da più parti evidenziati i rischi di un aumento dei prezzi dei devices, rischi che puntualmente si sono tradotti in realtà. Ed infatti Apple ha ritoccato i prezzi di diversi prodotti in conseguenza delle nuove tariffe dell’equo compenso; il MacBook Air è passato da 929 euro a 933,03, l’iPhone 5s 16 GB da 729 a 732,78, l’iPad Air 16GB da 479 a 481,56. Per quanto riguarda invece gli altri operatori, per il momento Google ha mantenuto inalterati i prezzi sullo smartphone Nexus 5 e sul tablet Nexus 7, LG sembrerebbe aver deciso di assorbire l’aumento, mentre Sony potrebbe forse operare una distinzione tra televisori i cui prezzi potrebbero non essere ritoccati e gli altri devices su cui, al contrario, potrebbe essere disposto un rincaro.

Le reazioni delle autorità non si sono fatte attendere evidenziando come la fortuna di Apple sia strettamente legata alla migliore riproduzione delle opere dell’ingegno per le quali è prevista un’equa remunerazione. Se ciò è vero, non può al contempo non evidenziarsi come proprio Apple con iTunes abbia offerto la prima vera alternativa alla pirateria garantendo una remunerazione agli artisti, così come non può essere smentita la straordinaria centralità assunta dallo streaming più volte evidenziata dagli operatori per dimostrare la mancanza di giustificazioni alla previsione di questo equo compenso.

Al riguardo risultano particolarmente interessanti i dati elaborati da Deloitte per conto di Fimi secondo cui per la prima volta in Italia lo streaming di musica e video ha superato, in termini di fatturato, il download. In particolare, tale studio ha rilevato nei primi sei mesi del 2014 una crescita dello streaming tra audio e video del 95%, rappresentando il 55% dei ricavi del digitale (34% nel 2013) ed una contrazione del download del 18%. Nello specifico, lo streaming audio è cresciuto del 134% mentre lo streaming video del 72%. È sempre più chiaro, dunque, che copiare da un supporto all’altro la musica che si acquista sta diventando sempre meno interessante a fronte della possibilità offerta da Spotify, Deezer etc. di avere a disposizione brani e playlist in qualunque momento su più dispositivi.

L’incontestabile centralità assunta dallo streaming, unita alla necessità di non porre freni al processo di informatizzazione e digitalizzazione del nostro paese che, ad ogni evidenza, passa anche – se non soprattutto – attraverso l’incentivazione della diffusione di smartphone e tablet, non fa che porre dubbi circa l’opportunità di adottare provvedimenti che possono determinare aumenti di prezzi per i consumatori. Pur trattandosi di incrementi di prezzo non particolarmente significativi, infatti, l’unico dato davvero rilevante ad oggi è che non c’è stato alcuno spazio per riduzioni dei profitti, nessuna possibilità di assorbimento dell’equo compenso da parte di produttori ed esportatori. A pagare l’equo compenso saranno ancora una volta i consumatori e se questo si tradurrà in una contrazione della domanda solo il tempo saprà dimostrarlo.

 

 

 

 

Vicepresidente dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Tor Vergata nel 2006 ha partecipato, nel 2009, al master di II Livello in “Antitrust e Regolazione dei Mercati” presso la facoltà di Economia della medesima università conseguendo il relativo titolo nel 2010, anno in cui ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense.

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