Un recente studio retrospettivo pubblicato su Infection Control and Hospital Epidemiology, il giornale della Society for Healthcare Epidemiology of America, evidenzia quanto stia diventando importante il fenomeno della “farmacoresistenza”. La ricerca del dott. Joshua Thaden mostra infatti che i nuovi casi di infezione da batteri CRE (Carbapenem Resistant Enterobacteriaceae, ovvero Enterobatteri Resistenti agli antibiotici Carbapenemi) sono quintuplicati dal 2008 al 2012 in ben 25 ospedali del sud-est degli USA. Gli stessi ricercatori affermano che solo il 20% degli ospedali valutati avevano adottato le più recenti linee guida dettate dal CLSI (Clinical and Laboratory Standards Institute), e in un editoriale di accompagnamento viene sottolineato come la carenza di fondi e di personale ospedaliero incidano sulla trasmissione dei CRE.
In realtà, le infezioni ospedaliere o nosocomiali, ben note a medici e pazienti, sono infezioni acquisite in ospedale o in un’altra struttura di assistenza sanitaria, da pazienti che erano stati ricoverati per altri motivi e che non presentavano o avevano in incubazione tale infezione al momento dell’ingresso nella struttura. Le infezioni nosocomiali includono dunque quelle acquisite dai pazienti durante il ricovero, che possono manifestarsi dopo 48 ore dal ricovero o anche dopo le dimissioni, e le infezioni occupazionali presenti tra il personale della struttura.
Le nuove tecnologie, se da una parte favoriscono la sopravvivenza dei pazienti ad alto rischio di infezioni, dall’altra consentono l’ingresso dei microrganismi in zone normalmente sterili. Possiamo dividere le infezioni ospedaliere in due tipi: quelle determinate dal passaggio di microrganismi dall’ambiente al paziente, e quelle causate da interventi chirurgici. Nel primo caso l’infezione si trasmette tramite il contatto diretto tra una persona sana ed una persona che presenta l’agente patogeno, mentre il secondo caso è invece dovuto ad un contatto indiretto attraverso un veicolo contaminato. Le persone più a rischio sono i pazienti, specialmente quelli immunodepressi, neonati e anziani, a seguire troviamo il personale ospedaliero, gli assistenti ed i tirocinanti.
In Italia non esiste un sistema di sorveglianza nazionale, come avviene invece nei paesi anglosassoni. I dati mostrano che il 5-8% dei pazienti ricoverati in Italia contrae un’infezione ospedaliera, e ogni anno si verificano ben 450-700 mila infezioni: infezioni urinarie in primis, seguite da infezioni delle ferite chirurgiche, polmoniti e sepsi. Si stima non solo che il 30% di tutte queste infezioni (135-210 mila) siano potenzialmente prevenibili, ma anche che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi, infatti ogni anno abbiamo circa 1350-2100 decessi prevenibili.
Dal punto di vista del dispendio delle risorse, solo per fare un esempio, un’infezione da stafilococco aureo meticillino resistente prolunga la degenza ospedaliera da 4 a 14 giorni, causando un aumento dei costi da 10.000 a 36.000 euro per paziente. Le risorse per la gestione delle infezioni nosocomiali impattano per lo 0,8% del PIL, generando un aumento della spesa sanitaria di circa 1 miliardo di euro.
L’incremento dei giorni di ospedalizzazione genera un costo che varia da 4.000 euro per il dipartimento di Medicina a 28.000 euro per la Terapia Intensiva. Sarebbero proprio i reparti di Terapia Intensiva quelli con maggior frequenza di infezioni nosocomiali dove quindi il controllo delle infezioni risulterebbe molto importante anche da un punto di vista economico.
Le campagne pubblicitarie verso un uso consapevole di questi farmaci sono fondamentali nella lotta contro l’aumento dei microrganismi farmaco resistenti, che trovano negli ospedali un ambiente ideale per la loro diffusione. Cittadinanzattiva, un’associazione di pazienti, compresi malati cronici, ha ideato una campagna per diffondere le buone pratiche per prevenire queste infezioni. La campagna si basa sul controllo del livello di attenzione delle Direzioni Ospedaliere sulla prevenzione delle infezioni, sulla predisposizione di raccomandazioni rivolte alle Direzioni degli ospedali per implementare buone pratiche per combattere le infezioni ospedaliere, sulla presentazione e discussione delle raccomandazioni nelle strutture coinvolte alla presenza dei dirigenti ospedalieri, primari, dirigenti infermieristici, e rappresentanti dei cittadini.
La sterilizzazione degli strumenti e le buone pratiche come il lavaggio delle mani del personale ospedaliero rappresentano due esempi di buone pratiche. Solitamente si possono prevenire le infezioni associate a determinate procedure tramite la riduzione di quelle non necessarie, la scelta di presidi più sicuri, l’adozione di misure di assistenza al paziente che garantiscano condizioni asettiche. Secondo il Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute occorre pianificare e attuare programmi di controllo a diversi livelli (nazionale, regionale, locale) per garantire che vengano utilizzate le misure che si sono dimostrate efficaci nel ridurre al minimo il rischio di complicanze infettive.
Le strutture sanitarie devono adottare procedure incisive e strumentazione idonea per evitare la trasmissione delle infezioni negli ambienti ospedalieri. L’Italia ha bisogno di una cabina di regia nazionale per gestire l’attività di prevenzione e vigilanza delle infezioni nosocomiali di tutti i tipi, per la tutela del paziente e del personale medico, e per evitare costi considerevoli – e inutili – al SSN.