L’associazione tra volumi di attività ospedaliera e/o del medico ed esito delle cure è un indicatore sempre più spesso considerato nella valutazione dei processi clinici e gestionali dell’assistenza ospedaliera in moltissime condizioni patologiche importanti, anche se si è prestato a letture a volte polemiche legate agli obiettivi di razionalizzazione della spesa sanitaria e alle disposizioni ministeriali che negli ultimi anni hanno progressivamente decurtato il numero dei posti letto per abitante e ridotto il tasso di ospedalizzazione. Nella prima metà del 2013 la rivista Epidemiologia e Prevenzione ha pubblicato i risultati più recenti dello studio svolto nell’ambito del Programma Nazionale Esiti dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Age.na.s) in cui – partendo dall’identificazione delle condizioni cliniche e dei trattamenti per i quali è stata studiata e dimostrata questa associazione – è stata analizzata la distribuzione delle strutture ospedaliere italiane per volumi di attività e misurata l’associazione tra volumi ai attività ospedaliera ed esiti di cura nel Servizio Sanitario Nazionale per l’anno 2011. Per 26 delle 38 differenti aree cliniche individuate (con un numero di casi annui superiore a 1.500 e una frequenza di esito superiore al 30%) l’indicatore di outcome più comune – la mortalità intra-ospedaliera a 30 giorni – rivelava la relazione positiva tra volumi di attività ed esito dell’assistenza sanitaria. Tra le aree analizzate figuravano tra l’altro AIDS, infarto del miocardio, chirurgia cardiaca pediatrica, terapia intensiva neonatale, aneurisma cerebrale, frattura del femore, colicistectomia e numerose neoplasie (es. colon, prostata, stomaco, polmone, pancreas).
Lo studio evidenziava che l’associazione tra volumi di attività ed esito “sembra essere molto forte” concludendo che “alla scelta dei volumi minimi di attività al di sotto dei quali non dovrebbe essere possibile erogare specifici servizi nel Servizio Sanitario Nazionale, devono necessariamente contribuire conoscenze sul rapporto tra efficacia delle cure e loro costi, distribuzione geografica ed accessibilità”. L’auspicio dei ricercatori era che nell’organizzazione dei servizi si avviasse una razionalizzazione basata sulla selezione delle strutture che soddisfano questa associazione, liberando risorse destinate a migliorare l’efficacia degli interventi. L’articolo 1 comma 3 della bozza di decreto ministeriale del 9 luglio 2014 per la definizione degli “standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera” ribadisce questo criterio sottolineando anche il profilo della qualità e del risk management nell’ottica più ampia di “flessibilità organizzativa dei posti letto rispetto alla domanda appropriata di ricovero”. E tuttavia, come altre questioni relative alla Sanità, anche la ristrutturazione della rete ospedaliera avviata da tempo nelle singole Regioni su impulso delle misure nazionali di spending review è stata affrontata spesso come una sorta di braccio di ferro, sia tra governo centrale e Regioni, sia tra amministrazioni regionali e cittadini. In molti casi “la lotta gli sprechi” si è tradotta in chiusure o tentativi di chiusure di reparti o intere strutture in assenza di piani di riconversione e trascurando le differenze geografiche e i bisogni di salute delle popolazioni.
Eppure, se valutata in un’ottica sistemica che tenesse in debito conto anche le disomogeneità territoriali nell’erogazione dell’assistenza ospedaliera, la correlazione tra volumi ed esiti potrebbe essere uno strumento molto utile anche nella rimodulazione del complesso dei servizi sanitari, e potrebbe contribuire a valorizzare i poli di eccellenza che esistono a macchia di leopardo in tutto il territorio nazionale. L’esempio della chirurgia toracica presentato in uno studio recente dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano riflette di nuovo la frammentazione dell’offerta ospedaliera nel nostro Paese: a fronte dei 100 interventi considerati come numero di volume minimo dalle società scientifiche internazionali, in Italia solo il 10% delle strutture ospedaliere localizzate in dieci Regioni supera questa soglia. Su 215 strutture 130 fanno meno di 25 interventi l’anno. D’altra parte, se qualità ed esiti delle cure si incrociano positivamente con i volumi delle attività, è importante che il criterio della razionalizzazione sia seguito sempre tenendo conto delle differenze geografiche, come ha ricordato il professor Lorenzo Spaggiari, Direttore della Divisione di Chirurgia Toracica dello IEO. Forse potrebbe essere un suggerimento utile a tutti gli attori coinvolti in questo processo per agire con maggior prudenza e concretezza.