La SLA – sclerosi laterale amiotrofica, è una malattia neurodegenerativa con una alta incidenza sulla popolazione italiana e dei paesi economicamente sviluppati, per via della presenza di una fascia di popolazione anziana sempre maggiore, e anche perché – grazie anche alla ricerca e all’innovazione nelle cure, si vive più a lungo. La fascia di popolazione più colpita è quella che va dai 40 ai 70 anni, e in Italia si stima una incidenza di 3 nuovi casi di SLA al giorno, con una prevalenza che va da 6 a 8 casi per ogni 100.000 abitanti.
Gli effetti della SLA sono devastanti, in pratica la persona malata resta con una mente sveglia e vigile in un corpo sempre più immobile per via del blocco progressivo dei muscoli. Ancora molto poco si conosce delle cause della malattia, e si attendono soluzioni farmacologiche per dare una risposta più efficace.
Ci sono però margini di azione molto importanti che già oggi possono essere adottati. Innanzitutto la prevenzione, in questo caso secondaria, attraverso esami diagnostici per misurare il rischio SLA quando si è nella fascia di età che presenta la maggiore incidenza – dai 40 ai 70 anni. Da pochi giorni su Neurology, rivista americana di neurologia, è stato pubblicato un articolo tutto italiano di una scoperta effettuata alla Città della Salute – Ospedale Molinette – di Torino.
Qui il Professore Chiò, Direttore del Centro SLA dell’ospedale, ha dimostrato come la PET con l’utilizzo di un particolare mezzo di contrasto, un radiotracciante usato tipicamente nella medicina nucleare, permette di osservare dalle alterazioni dell’attività cerebrale (e non solo dunque dall’osservazione del midollo spinale), già da diversi mesi prima l’avvio della degenerazione dei motoneuroni, e dunque l’inizio della SLA.
E’ ora possibile la diagnosi precoce della sclerosi laterale amiotrofica. Questo significa poter giocare di anticipo, avviando un percorso diagnostico-terapeutico in grado di scoprire e rallentare il più possibile la progressione della malattia e l’invalidità ad essa correlata. Ma questo significa anche avere la possibilità di realizzare uno screening per una popolazione selezionata e con maggiore esposizione al rischio.
Essendo una malattia complessa, la SLA ha dunque bisogno di un intenso coordinamento tra Istituzioni, Politica e strutture erogatrici di servizi. Selezionare la popolazione target e realizzare uno screening a livello nazionale richiede infatti uno sforzo congiunto tra Stato, Regioni, ASL, enti che forniscono assistenza domiciliare, enti erogatori di servizi sociali.
Nel mondo scientifico si vede come speranza la ricerca sugli anticorpi monoclonali, ma le risorse già stanziate e gli investimenti ancora necessari per arrivare a una scoperta realmente impattante riguardano cifre di un ordine di grandezza completamente diverso dalle somme attualmente raccolte con l’ice bucket challenge.
La provocazione però è ottima e serve a riflettere. Chi fa politica e ha un ruolo di rappresentanza in parlamento o nelle regioni, per esempio, dovrebbe – ora a mente fresca – cogliere la sfida e creare un percorso diagnostico-terapeutico uguale per tutti gli italiani (eliminando le forti differenze interregionali) e trovare le risorse necessarie per realizzare gli screening dei soggetti più a rischio. Si può infatti migliorare sensibilmente l’erogazione dei servizi sanitari e sociali, e si può rafforzare l’assistenza domiciliare, rendendola uniforme su tutto il territorio nazionale. Questo è già possibile, ma serve uno sforzo maggiore di coordinamento tra i vari soggetti di riferimento.
Se questo sforzo non sarà compiuto e non si arriverà a uno screening sui soggetti a rischio e a un miglioramento del percorso assistenziale delle persone affette da SLA, la sfida dell’Ice bucket challenge – nonostante i soldi che riuscirà a raccogliere – rimarrà posticcia.