Ragione e sentimento, un mix che può servire per preservare (e migliorare) il Ssn

L’art.1 comma 4 del nuovo Patto della Salute 2014-2016 approvato a metà luglio aveva messo nero su bianco che i risparmi ottenuti dall’efficientamento del Ssn sarebbero restati nella Sanità, confermando che l’ammontare del FSN per il  biennio sarebbe salito a  112.062 miliardi nel 2015 e a 115.444 nel 2016, “salvo eventuali modifiche che non si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazione del quadro macroeconomico”. Così le dichiarazioni che il ministro Beatrice Lorenzin aveva fatto proprie per mesi non sono sembrate più volatili rassicurazioni, ma punti fermi da cui partire per alleggerire e rendere competitivo il sistema sanitario,  rispettando equità e universalità nello sviluppo dei servizi.

Uno dei capitoli più importanti del Patto è relativo ai meccanismi di finanziamento e alla necessità di ricorrere a fonti alternative a quelle tradizionalmente contemplate nel nostro modello sanitario. La questione della diversificazione delle leve di finanziamento, che vede generalmente una richiesta di integrazione del pilastro pubblico-privato, si rivela trasversale a tutti gli obiettivi strategici definiti ed è un tassello fondamentale su cui ruoterà il confronto con il MEF, in questi mesi che precedono l’approvazione della Legge di Stabilità 2015. Lo sforzo più grande sarà conciliare le esigenze di stabilità del quadro macroeconomico con due esigenze opposte ma convergenti per la sostenibilità ed efficienza del sistema sanitario.

Da un lato vi è quella prefigurata nell’art. 8 del Patto, che risponde prevalentemente a principi di solidarietà ed equità. Si tratta di una revisione –  da definire entro il 30 novembre 2014 – dell’attuale sistema di compartecipazione privata alla spesa sanitaria e che contempla nella nuova formulazione dei ticket sia la condizione reddituale che la composizione del nucleo familiare e – in una fase più matura – la situazione economica complessiva del nucleo stesso. Si sta alzando infatti la “barriera” che impedisce l’accesso a servizi e prestazioni a una platea sempre più ampia di cittadini. Si profila parallelamente una fuga progressiva verso la sanità privata, come rileva il rapporto 2014 Censis-Unipol  sul Welfare in Italia e come conferma il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità economica del Ssn svolta dalle Commissioni Bilancio e Affari Sociali della Camera.

D’altro lato vi è la necessità di efficientare tutto il sistema-Paese e in particolare quello sanitario. È stato detto tante volte, tuttavia, che su un terreno tanto delicato come la tutela del diritto alla salute non si può più rispondere con misure solo “ragionieristiche”. Allora in che senso vanno le recenti dichiarazioni del Ministro dell’Economia Padoan, quando fa capire che la Sanità non sarà probabilmente sottratta al processo di revisione della spesa, perché “in tutti i settori ci sono spazi per risparmiare”? Ci si chiede se guardi nella stessa direzione della collega Lorenzin, per cui il Ssn non reggerebbe l’impatto di nuovi tagli senza perdere grossi pezzi della propria vocazione universalistica, costringendo a un forte ridimensionamento dell’assistenza sanitaria gratuita, come ancora la conosciamo. Il confronto non può essere bollato solo come una faccenda tra dicasteri, perché i numeri e le cifre fornite da Istat, Censis e altri osservatori non ce lo consentono. Come cittadini quindi ci auguriamo un confronto costruttivo, pur non potendo ignorare che la fase in cui ci troviamo ci vuole pronti a cambiamenti anche culturali di cui per primi dobbiamo essere consapevoli.

Public Affairs e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Scienze Politiche all’Università La Sapienza di Roma, ha lavorato come redattrice per l’agenzia Axia curando approfondimenti e articoli per i mensili Technet ed Atlante su temi di sviluppo sostenibile, responsabilità sociale d’impresa, finanza etica, terzo settore e nuove tecnologie.

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