In un Paese abituato a gettare nel frullatore primi ministri a ogni cambio di stagione, la notizia delle dimissioni di Carlo Cottarelli, commissario alla revisione della spesa pubblica, non può creare grande eco. Né stupire più di tanto gli osservatori internazionali, abituati a giudicarci dall’alto di istituzioni ben più stabili e credibili delle nostre. D’altronde, parafrasando Marchionne, nessuno può avere la presunzione di ritenersi insostituibile e questo principio deve valere nel pubblico quanto nel privato. Tanto più se parliamo di un alto funzionario non solo non eletto ma nominato da un precedente Governo nell’ottobre del 2013. Dunque, al di là dell’apprezzamento verso il lavoro oggettivamente competente svolto da Cottarelli, si deve riconoscere che il premier in carica ha tutto il diritto di scegliersi la persona che più gli aggrada nel ruolo tecnico più nevralgico per la politica del Governo. Anche se sarebbe stato senz’altro preferibile arrivare alla conclusione del triennio contrattuale, per dare maggiore coerenza e continuità all’azione di spending review e non dovere rischiare di ricominciare da capo, come già accaduto in passato.
Ma oggi è inutile interrogarsi sul passato e sui reali motivi delle dimissioni. Piuttosto occorre impegnarsi per evitare di gettare alle ortiche quel che di buono è stato fatto e per impostare correttamente quel che rimane da fare, che è ancora tantissimo.
Sul passato, il primo atto da compiere, anche per dimostrare che si intende valorizzare l’opera svolta (al di là del fatto che le decisioni finali spetteranno alla politica come è giusto che sia), dovrebbe essere quello di pubblicare i documenti prodotti dai 25 gruppi di lavoro ben prima della pausa estiva, come già chiesto da molti.
D’altronde, nel momento in cui su spinta dell’Esecutivo si mettono online tutte le singole spese di Expo 2015, lanciando meritoriamente l’operazione Open Expo, non si vede per quale motivo non si possa applicare un criterio di trasparenza di almeno un ordine inferiore pubblicando documenti tecnici che evidenziano possibili risparmi in maniera ragionevolmente aggregata.
Quanto al futuro, la prima matassa da sbrogliare sarà naturalmente la nomina del nuovo Commissario. Scontato immaginare sia una figura che goda della fiducia del premier in carica. Ma è necessario evitare commissari a mezzo servizio laddove la funzione richiede necessariamente un impegno full time quotidiano. Chiunque sarà nominato dovrà lasciare immediatamente qualsiasi altro incarico si trovi a svolgere in quel momento. Da escludere inoltre soluzioni pasticciate come commissioni o una divisione di responsabilità, che davvero costringerebbero a ricominciare metodologicamente da capo.
Ma quel che forse più importa, e che non è passato a sufficienza negli ultimi giorni, è che il secondo e forse ancor più fondamentale obiettivo del commissario alla spending review, oltre a quello di tagliare il tagliabile, è “istituzionalizzare il processo di revisione della spesa in modo tale che diventi parte integrante del processo di preparazione del bilancio dello Stato e delle altre amministrazioni pubbliche”, come recita il programma di lavoro con il quale ha cominciato ad operare Cottarelli.
In altre parole, la spending review più efficace, o meglio l’unica davvero efficace, è quella che si trasforma in un esercizio permanente di valutazione dei programmi di spesa. E che diffonde pratiche che nel mondo privato sono già ampiamente collaudate e diffuse. Il primo documento firmato da Cottarelli, pubblicato nel novembre scorso, prevedeva l’elaborazione di indicatori, nonché la formazione e anche la responsabilizzazione dei dirigenti pubblici per innalzare la qualità della spesa pubblica. Non si tratta dunque solo di tagliare (certamente la priorità più urgente nel breve periodo, specie se servisse ad abbassare davvero l’abnorme pressione fiscale con la quale sono costretti a convivere cittadini e imprese) ma di cambiare radicalmente il funzionamento dell’apparato pubblico. Presupposto di qualsiasi riforma della pubblica amministrazione degna di questo nome.
Solo a queste condizioni, tutt’altro che facili da realizzare, non rimpiangeremo il dott. Cottarelli ma semmai lo ringrazieremo per aver avviato quel che poi è stato portato avanti da altri più o meno sostituibili servitori dello Stato.