Canone RAI in bolletta, un caso paradigmatico dei silos della regolazione all’italiana

Proprio mentre volgeva al termine l’edizione 2014 del progetto I-Com “Consumatori in Rete”, che mette a confronto le esperienze di regolazione nei servizi a rete (audiovisivo, energia, servizi idrici, servizi postali, telecomunicazioni e trasporti), abbiamo osservato con un certo sgomento il dipanarsi della proposta di riforma del canone RAI. Una prova documentale di evidenza assoluta dello scarso dialogo ma soprattutto dell’assenza di coordinamento tra le policy di regolazione settoriale.

Già molti osservatori ma in primis le principali associazioni delle imprese energetiche (Aiget, Anigas, Assoelettrica, Energia Concorrente, Federutility), in un documento congiunto, hanno evidenziato le numerose controindicazioni di una misura che trasferirebbe alle imprese venditrici di elettricità l’onere di esigere annualmente il canone RAI. Tra le principali, l’introduzione di nuovi costi e rischi per le imprese, che potrebbero portare a bollette più care (in aggiunta alla componente legata al canone), i dubbi su chi debba riscuotere nel caso di switching, il non possesso di dati reddituali e patrimoniali necessari per garantire la progressività e le esenzioni prospettate, la responsabilità in caso di mancato pagamento e la possibile inefficacia come misura anti-evasione (per la serie, tanto rumore per nulla, visto che si è pensato alla bolletta proprio per garantire minori tassi di evasione, oggi stimata al 27%). Per non parlare dei danni su un mercato che ha già molte difficoltà a completare il percorso verso una completa liberalizzazione e a svilupparsi di conseguenza.

Come si fa a parlare con la mano sinistra di bolletta trasparente, versante sul quale molti sforzi si stanno facendo e molti altri rimangono da fare da parte di un altro soggetto pubblico, l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, quando con la mano destra lo stesso Stato la renderebbe ancora più complessa di quella che è oggi? Per giunta aggiungendovi un onere del tutto scollegato dal servizio elettrico, che potrebbe rappresentare fino al 20% della bolletta pagata oggi dal consumatore tipo. Non proprio peanuts.

Ma quel che più è assurdo e surreale di questa vicenda è stato immaginare di poter realizzare la riforma attraverso un emendamento alla Legge di stabilità in modo tale da renderla esecutiva per la riscossione del canone nel 2015 (che come è noto avviene nei primi due mesi dell’anno). Lo stupore aumenta se si pensa che la proposta del canone in bolletta via emendamento alla Legge di Stabilità è stata concepita o quantomeno covata nel Ministero che si occupa sia di comunicazioni che di energia.

E’ mai possibile che nella cronica frammentazione dei luoghi decisionali italiani, non si riesca neppure a coordinare diversi dipartimenti di uno stesso Ministero? A cosa serve un Ministero dello Sviluppo Economico con tante e variegate competenze se non assicura neppure livelli minimi di coordinamento, contro tutte le regole del buon senso? Sarebbe bastata una telefonata tra le sedi MiSE di Largo di Brazzà e via Molise (ma, vista la distanza di poche centinaia di metri, si sarebbe potuto optare anche per un caffè ridestante) oppure tra Largo di Brazzà e via dei Crociferi, sede romana dell’Autorità lontana meno di 200 metri dall’ex Ministero delle Comunicazioni, per rendersi conto immediatamente dell’evidente impraticabilità della mossa. Quantomeno sotto forma di emendamento con esecutività sostanzialmente immediata nell’anno a venire.

Per fortuna, nelle stesse ore in cui si continuava imprudentemente a sostenere che si sarebbe andati avanti con l’emendamento, il caffè se lo sono bevuti a Palazzo Chigi. Evitando in extremis una sonora figuraccia al Governo e un problema reale per ben due mercati così importanti in un colpo solo. Segnale che in mancanza di un coordinamento non solo inter-ministeriale ma perfino intra-ministeriale, il rafforzamento delle strutture della Presidenza del Consiglio è una necessità imposta dalla realtà dei fatti. Per far uscire le policy e la regolazione dei settori dalla logica dei silos e metterle finalmente in rete, a beneficio dei cittadini-consumatori. E in attesa del tanto atteso Disegno di Legge governativo sulla Concorrenza. 

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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