Un identikit del consumatore online, ovvero Davide alleato di Golia?

All’aumentare di alfabetizzazione e connettività digitale, cresce in maniera consistente il numero di consumatori che fanno ricorso a strumenti innovativi rispetto ai canali tradizionali di dialogo con le imprese. Con due indubbi vantaggi: l’accesso veloce e poco costoso rispetto alle modalità di approccio offline (sportello fisico o telefonico, peraltro quasi sempre attivi solo in alcuni orari e giorni alla settimana) e la viralità di alcune tipologie di comunicazione web-based (in particolare, blog, forum e social media), che danno al singolo consumatore un potere senza precedenti.

Per apprezzare la significatività della prima componente, basta menzionare uno dei risultati più interessanti del sondaggio I-Com, effettuato per il Rapporto Consumatori 2015 su un campione rappresentativo della popolazione italiana costituito da 1.021 maggiorenni. A parità di utilizzo di Internet, i più entusiasti utilizzatori delle modalità di comunicazione online con le aziende si trovino al Sud e nelle Isole. Nel corso dell’ultimo anno, il 50,4% dei residenti nelle Regioni del Mezzogiorno hanno acquisito informazioni su un prodotto utilizzando la pagina Facebook o il profilo Twitter di un’azienda (contro una media nazionale del 42%). Percentuale più elevata rispetto alla media anche per i meridionali che hanno segnalato un problema attraverso i due principali social (33,2% vs. una media nazionale del 25,7%). Dunque, grazie ai canali di comunicazione web-based si configura al Sud e nelle Isole una vera e propria rivincita rispetto a una qualità dei servizi che è tuttora inferiore rispetto alle altre aree del Paese.

Internet è quindi uno strumento di democratizzazione dei rapporti con le aziende, in grado di colmare (parzialmente) dislivelli sociali e geografici tra le varie tipologie di consumatori, ma anche tra i singoli consumatori e le imprese, e qui veniamo al secondo beneficio. Di cui si può avere facilmente contezza scorrendo le pagine Facebook di alcune grandi imprese e leggendo i messaggi dei molti clienti non proprio entusiasti dei servizi che hanno ricevuto (o stanno ricevendo). Le aziende con le strategie social più avvertite non possono far altro che fare buon viso a cattivo gioco, senza però rimanere con le mani in mano ma reagendo nell’unico modo possibile. Se è giusto che ignorino proteste chiaramente infondate, sono costrette a tenere nella massima considerazione segnalazioni di problemi almeno apparentemente reali, rispondendo rapidamente e attivando il canale con il customer care. Che sempre più spesso è ormai integrato con i canali social (e così sempre di più sarà come linea di tendenza futura). Se il prologo avviene nella pubblica piazza, il dialogo successivo (che dovrebbe preludere alla risoluzione del problema) si svolge riservatamente ma il consumatore e l’impresa sanno perfettamente che il primo dispone sempre di un’arma nucleare, cioè ritornare nell’arena digitale per denunciare la persistenza del disservizio e l’incapacità o la non volontà dell’azienda di affrontarlo.

Se guardiamo ad un altro risultato interessante del sondaggio I-Com, effettuato nel marzo del 2015, è come il consumatore attivo online diventi più sofisticato e abbia aspettative maggiori, che spesso rimangono insoddisfatte.

Se è vero che 1 internauta ogni 4 usa Facebook o Twitter per segnalare problemi rispetto a prodotti/servizi, in netto aumento rispetto alla rilevazione condotta un anno prima (25,7% nel 2015 vs 16,9% nel 2014), diminuisce il numero di persone soddisfatte dal riscontro delle aziende sui social, in seguito al proprio reclamo (38,9% nel 2015 vs 48,8% nel 2014).

Un trend simile si rileva per la richiesta di informazioni. Se il numero di chi utilizza Facebook e Twitter per acquisire informazioni su prodotti e servizi (tra gli utenti online il 42,0% contro il 38,4% del 2014), diminuisce drasticamente la percentuale di chi le trova complete ed esaurienti (solo il 32,0% contro il 43,7% di un anno prima).

Si tratta di un segnale evidente di come le aziende in media non siano state in grado finora di tenere il passo dei consumatori, almeno di quelli connessi (ormai in maggioranza), non investendo a sufficienza nei canali web-based e in particolare sui social. D’altronde interi settori (le assicurazioni) o aziende di estrema rilevanza (su tutte, Trenitalia che spicca per assenza su Facebook) rappresentano clamorosi buchi neri nella comunicazione social. E molte delle imprese presenti su tutti i canali digitali e social non hanno strategie studiate per un’interattività continua con i propri clienti e un’integrazione vera con il proprio customer care (con importanti eccezioni positive, a cominciare dalle telco).    

Peraltro, perdendo un’opportunità commerciale sempre più rilevante (oltre alla possibilità di intervenire più rapidamente per soddisfare il bisogno di un cliente effettivo o potenziale).

La viralità dei social (ma anche dei forum e dei blog) fa del consumatore un potenziale alleato dell’impresa, un vero e proprio testimonial a costo zero (almeno per ora!). Nel momento in cui condivide un post di un’impresa, lo commenta in termini neutrali o positivi o ritwitta un tweet della stessa azienda, il nostro Davide diventa uno sponsor di formidabile efficacia del Golia con il quale magari solo il giorno prima si era scontrato sanguinosamente.   

Anche se forse il miglior alleato dei giganti aziendali non è Davide ma sua moglie Betsabea. Secondo il sondaggio I-Com sono le donne le più propense a cliccare su link aziendali su Facebook (tra gli utenti del social network, lo fanno abitualmente il 40,6% contro il 30% degli uomini), a condividere post (21% vs 13,4%) e a commentare (18,4 % vs 13,7%). Un indicatore di attenzione che le imprese dovranno tenere in crescente considerazione. Tenendo presente che i social media e in generale gli strumenti web based più interattivi possono facilmente trasformarsi da veicoli pubblicitari di grande successo (relativamente) a basso costo in boomerang pericolosi e viceversa. Ma proprio questa loro caratteristica ne fa uno strumento irrinunciabile per le aziende che vogliano innovarsi e innovare le relazioni con i propri clienti, aumentandone la fedeltà di quelli attuali e acquisendone di nuovi.

Nel 2015 non sviluppare una strategia social, non investire risorse sufficienti a tenere aperti i canali di comunicazione h24 non solo verso l’esterno ma anche e soprattutto verso l’interno dell’azienda o peggio ancora rimanerne fuori del tutto rappresentano per le imprese B2C un peccato mortale. E per i consumatori (specie per quelli che si trovano a fronteggiare aziende monopolistiche o interi settori poco propensi all’engagement via social) un costo opportunità sempre più elevato al crescere dell’utilizzo di Internet.

 

 

 

 

 

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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