Lunedì scorso 6 luglio la Commissione europea ha lanciato una nuova consultazione pubblica per verificare quali parti della direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi siano attualmente idonee a rientrare nell’ambito del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (il cosiddetto REFIT richiesto a gran voce da tutti gli Stati membri durante il semestre Ue di presidenza italiana). L’analisi dell’efficacia considera in che misura l’azione dell’UE è riuscita a conseguire i propri obiettivi o a compiere progressi verso il loro raggiungimento. Ma anche quanto equamente i vari effetti sono distribuiti tra i diversi portatori d’interesse.
L’obiettivo della Dg Connect, struttura competente in questa materia, è raccogliere prove e opinioni sulla futura politica dei servizi di media ai fini di una valutazione d’impatto per trovare il giusto equilibrio tra i benefici legati all’introduzione di nuove regole e i relativi costi da sostenere a carico delle aziende che operano attualmente in questo mercato.
Nella sua comunicazione relativa alla Strategia per il mercato unico digitale per l’Europa, la Commissione ha annunciato la revisione della direttiva nel 2016. Importante ricordare che anche un altro esercizio di REFIT viene attualmente condotto, parallelamente, nel settore delle telecomunicazioni, in vista della presentazione di proposte nel 2016. Alcune delle questioni trattate nell’ambito dell’attuale consultazione pubblica potranno avere un impatto su tale esercizio parallelo, e viceversa. Inevitabili effetti della convergenza tra tlc e media.
Fino al 30 settembre 2015 tutti gli stakeholders coinvolti a vario titolo (Autorità nazionali di regolamentazione, emittenti televisive, produttori, fornitori di contenuti, prestatori di servizi di telecomunicazioni, organizzazioni della società civile, università e cittadini) potranno rispondere a titolo personale o in rappresentanza di organizzazioni, società o istituzioni ad una serie di quesiti che ruotano a 6 grandi questioni chiave:
- garantire condizioni di parità per i servizi di media audiovisivi;
- fornire un livello ottimale di tutela dei consumatori;
- assicurare la tutela dell’utente e il divieto di incitamento all’odio e di discriminazione;
- promuovere il contenuto audiovisivo europeo;
- rafforzare il mercato unico;
- rafforzare la libertà e il pluralismo dei mezzi di comunicazione, l’accesso alle informazioni e l’accessibilità al contenuto per le persone con disabilità.
Riservandoci di approfondire anche le altre questioni, in questa sede ci limitiamo a toccare due punti qualificanti relativo al primo ambito sopra richiamato (garantire condizioni di parità). Punti che già da soli sono più che sufficienti a giustificare una riscrittura radicale del framework regolatorio concepito in era analogica.
Il primo punto riguarda il perimetro troppo ristretto cui si applica la direttiva (trasmissioni tv, servizi a richiesta e “tv-like”) e l’urgenza di estenderlo anche alle piattaforme e intermediari on line per la condivisione di video che, come noto, sono oggi disciplinati dalla direttiva sull’e-commerce che li esenta, a determinate condizioni, da responsabilità per il contenuto che trasmettono. Intenzione della Commissione è indagare a fondo sul ruolo svolto da tali soggetti per comprendere se e in che modo possano essere coinvolti nella promozione e valorizzazione delle opere audiovisive in termini di programmazione ed investimento (anche tramite accordi di coregolamentazione tra le parti).
Il secondo tema dirimente strettamente collegato al primo è rappresentato dall’annosa questione dell’ambito geografico in cui gli operatori sono stabiliti. La questione in questo caso è valutare se far rientrare nell’ambito della direttiva quelle imprese che pur rivolgendosi ai pubblici dei vari Stati Membri sono stabiliti al di fuori dell’UE. Una soluzione potrebbe essere quella di richiedere a questi fornitori di registrarsi o designare un rappresentante in uno Stato membro (ad esempio, il principale paese a cui si rivolgono).
Val la pena ricordare che la Commissione era già intervenuta in questo ambito appena due anni fa, adottando il libro verde “Prepararsi a un mondo audiovisivo della piena convergenza: crescita, creazione e valori“. La decisione di aprirsi nuovamente al confronto dimostra che lo scenario dei consumi audiovisivi e il relativo sistema dell’offerta e di finanziamento dei contenuti sta subendo trasformazioni radicali e, in più, con una rapidità sorprendente. L’avanzata del digitale si conferma dunque il principale vettore di innovazione per le realtà più radicate e refrattarie al cambiamento del sistema audiovisivo occidentale. Ciò impone interventi di ristrutturazione dolorosi come dimostra il recente annuncio da parte della BBC di un taglio di mille dipendenti (quasi il 5% dell’intera forza lavoro) a causa della diminuzione degli abbonamenti a sua volta dovuta ai cambiamenti nelle abitudini di consumo dei film, serial e show televisivi, indotti dalla crescita di Internet. Come riporta Cineguru un recente studio dell’Ofcom ci informa che appena la metà dei cosiddetti “Millennials” (nativi digitali tra i 16 e i 24 anni) è abituato alla visione live dei programmi televisivi, cui vengono preferiti servizi di catch-up tv come lo stesso Iplayer della Bbc o Netflix.