Lo scorso 15 luglio, la Commissione Europea licenziava alcuni documenti di estrema importanza che riflettono la propria visione dei mercati finali dell’energia in un futuro (si spera) non troppo lontano. Tra questi spicca la Comunicazione 339/2015 (“Delivering a New Deal for Energy Consumers”), anche se pure i documenti sul design del mercato dell’elettricità e sull’energy labelling contengono elementi di assoluto interesse per gli scenari del mercato retail. Qualche giorno più tardi, il 20 luglio, i due ottimi relatori del DDL Concorrenza nostrano, Silvia Fregolent e Andrea Martella, presentavano i propri emendamenti al testo del provvedimento, molti dei quali riguardanti anch’essi l’evoluzione del mercato finale dell’energia nei prossimi anni.
Sarebbe naturalmente sbagliato comparare in maniera semplicistica i testi europei con quelli italiani. Da un lato (Commissione europea) abbiamo documenti di scenario con una prospettiva olistica, frutto di un lungo processo di sedimentazione, dall’altro (Parlamento italiano) emendamenti che, per quanto frutto di riflessioni attente, servono ad uno scopo ben diverso.
Tuttavia, vista anche la singolare coincidenza temporale, non possiamo non notare similitudini e divergenze di approccio.
I punti di partenza a Bruxelles come a Roma sono analoghi. Si percepisce una forte preoccupazione per ciò che non funziona ancora nei mercati retail. La Commissione europea elenca perfino più difetti di quelli dai quali partono gli emendamenti di Fregolent e Martella: mancanza di informazioni adeguate sui costi e sui consumi, quota eccessiva di componenti extra-energetiche in bolletta che finiscono per ridurre troppo i segnali di prezzo, scarsa concorrenza tra i venditori, procedure di switching troppo complicate, mercati poco sviluppati per servizi residenziali e di demand response, disincentivi all’autoproduzione e all’autoconsumo, ritardo nell’adozione di tecnologie come lo smart metering e la domotica. Ma i rimedi presi in considerazione dalla Commissione sono tutti nella direzione di dare una sterzata ulteriore al mercato, affinché gli operatori offrano servizi e condizioni aggiuntive rispetto a quelli oggi disponibili. In questo senso, il ruolo della regolazione deve essere soprattutto quello di ridurre le barriere all’ingresso di nuove imprese, nuove offerte e nuove tecnologie. Fondamentale saranno l’aggregazione della domanda, i prezzi dinamici e la disponibilità di dati di consumo in tempo reale o quasi reale.
Negli emendamenti dei relatori del DDL Concorrenza, si struttura il phasing-out della maggior tutela, prevedendo un percorso scandito dal rispetto di alcune condizioni essenziali. La prima di queste (la costruzione di un portale informatico per la raccolta e la pubblicazione delle offerte vigenti sul mercato retail dell’energia elettrica e del gas) intende risolvere o quantomeno mitigare le imperfezioni informative, dando al consumatore un luogo dove poter basare le proprie scelte sulla base di una comparazione completa, affidabile e veloce tra le diverse offerte. Fin qui tutto sommato l’approccio appare dinamico e in linea con quello comunitario, anche se chi scrive prova un naturale scetticismo sul fatto che sia un soggetto pubblico ad essere in grado di offrire un servizio customer-oriented che dovrebbe essere al tempo stesso il più user-friendly e innovativo possibile per avere davvero successo. Senza considerare come i tempi di realizzazione di un portale informatico (che pure sarebbe uno sviluppo del già esistente Trova Offerte) per un soggetto pubblico che deve rispettare regole e procedure di ogni tipo (con il relativo rischio di intoppi) potrebbero non essere così brevi. Tenuto conto che il DDL Concorrenza, nella migliore delle ipotesi, non sarà legge prima della fine dell’anno, scadenze come l’1 marzo 2016, perché i venditori forniscano almeno un’offerta di fornitura a prezzo fisso e una a prezzo variabile e le inviino all’Autorità, e il 30 giugno 2016, per la realizzazione del portale, appaiono un po’ strette.
Ma ciò che divide sideralmente la visione italiana da quella europea, e ci fa entrare in uno dei tanti teatri dell’assurdo che popolano la nostra penisola, sono le quattro condizioni successive (rispetto delle tempistiche di switching, rispetto delle tempistiche di fatturazione e conguaglio, operatività del Sistema Informativo Integrato, attuazione del brand unbundling). Si tratta infatti di previsioni tutte nel controllo diretto o indiretto del sistema di governance pubblica dell’energia ma negli emendamenti se ne parla come se fosse del tutto normale la mancata attuazione o il mancato enforcement di norme già oggi vigenti. Delle due l’una: o non si reputano sufficientemente rilevanti le criticità richiamate (ma allora perché subordinare alla loro soluzione il futuro del mercato retail?) oppure chi ha il mandato di intervenire sulle cose per cambiarle in meglio (e certamente non c’è luogo in Italia più adatto del Parlamento della Repubblica Italiana) dovrebbe agire proattivamente. Il menu di scelte in mano ai parlamentari appare infatti molto ampio: si possono cambiare le norme, aumentare le sanzioni o, in ultimo, modificare la governance di settore, una volta acclarato il fallimento dell’attuale modello di enforcement delle regole in campo energetico.
Il ruolo del Parlamento italiano non può essere quello di sedersi sul bordo del fiume in attesa che passi il corpo vivo o morto del mercato ma di fare tutto quello che è in proprio potere per disegnare un sistema di norme, compresi i corollari necessari dell’attuazione e dell’enforcement, che permettano al mercato di scivolare lungo l’acqua nella migliore salute possibile.
Se così non è, appare legittimo il sospetto di quanti pensano che le 5 condizioni elencate negli emendamenti non siano altro che la riproposizione in chiave moderna della tela di Penelope. Uno strumento per ritardare la trasformazione del mercato, cioè proprio il contrario di quello che ci indica l’Europa. Un’evoluzione che non può che passare attraverso il confronto competitivo e l’innovazione dei servizi su una platea il più ampia possibile di consumatori. Che vanno aiutati semmai a sfruttare appieno i vantaggi offerti dalle nuove tecnologie per scegliere di risparmiare o avere servizi aggiuntivi a seconda di quando, con chi e con cosa si consuma. Lasciando alla tutela quel che è della tutela, cioè definire regole e farle rispettare senza sconti. E senza aspettare passivamente sulla riva del fiume il cadavere del mercato e dunque di imprese e consumatori in carne ed ossa.