E’ tempo di Legge di Stabilità e dunque si torna a parlare delle possibili modifiche allo strumento simbolo della male assortita governance farmaceutica in Italia, il cosiddetto “pay back” sulla spesa ospedaliera, che impone alle aziende di farsi carico del 50% dello sforamento del tetto imposto a livello nazionale. Dato che il plafond della spesa ospedaliera è strutturalmente sottodimensionato rispetto ai bisogni fin da quando venne istituito il meccanismo dei tetti ormai quasi dieci anni fa, il pay back, introdotto solo a partire dal 2013, è di fatto un’imposta occulta perché lo sfondamento e il relativo ripiano è assicurato e come tale le Regioni vi possono fare affidamento per coprire buchi di bilancio. Si tratta di una delle ben 5 principali criticità rilevate da un recente studio I-Com presentato nello scorso luglio, insieme ai profili anti-meritocratici, alla penalizzazione implicita dei nuovi farmaci rispetto a quelli esistenti, alla rigidità e all’incertezza che determina. E non di parla di quisquilie.
Secondo lo stesso studio I-Com, basato sui dati forniti da 8 aziende multinazionali, che hanno una quota di mercato complessiva di circa il 50% nella farmaceutica ospedaliera, il pay back del 2014, che salvo cambiamenti in corsa dovrebbe essere versato nei prossimi mesi, rappresenterebbe il 117% delle imposte sul reddito (IRES+IRAP) e il 107% dell’IVA di competenza del corrispondente anno versate da quelle stesse imprese. Dai € 364 milioni del 2013, il pay back è salito a oltre € 500 milioni nel 2014 (€ 525 milioni) e nel 2015 dovrebbe continuare l’ascesa a quasi € 700 milioni di euro (€ 680 milioni). Un incremento vertiginoso che tra il 2013 e il 2014 ha neutralizzato totalmente l’incremento di valore del mercato. A fronte dell’arrivo di un numero sempre maggiore di nuovi medicinali, con effetti terapeutici significativi.
Dato che è difficile immaginare di affidare alla Legge di Stabilità una riforma complessiva della governance farmaceutica, che vada verso l’auspicabile superamento del tetto sulla farmaceutica ospedaliera e dunque del meccanismo del pay back, si potrebbe nel frattempo disinnescare qualche mina che minaccia da un lato il lancio di nuovi farmaci, sui quali le aziende sono costrette dal meccanismo attuale a restituire la metà circa dei ricavi nei primi due anni di commercializzazione, e dall’altro gli investimenti in produzione e ricerca in Italia (molte delle aziende più colpite sono anche tra i principali investitori esteri nel nostro Paese).
Tra le soluzioni possibili, oltre ad adeguare un tetto sulla spesa ospedaliera storicamente sottofinanziato, si potrebbe prevedere un’applicazione flessibile dei due tetti su ospedaliera e territoriale (con compensazioni a livello aziendale tra eventuali disavanzi su uno dei due mercati con eventuali avanzi sull’altro), una riserva per i nuovi farmaci per i primi due anni dal lancio, che eviti l’attuale paradossale discriminazione rispetto ai farmaci esistenti, e fondi ad hoc per i farmaci innovativi e orfani, che oggi sono interamente a carico dei farmaci in-patent, aggravando la penalizzazione di questi ultimi.
Non si tratta di quella riforma radicale della governance farmaceutica che occorrerebbe mettere in cantiere (a partire dall’abbattimento dei silos che oggi separano la spesa farmaceutica dalle altre tipologie di spesa sanitaria che concorrono tutte al percorso terapeutico dei pazienti in un rapporto di almeno parziale succedaneità) ma quantomeno sarebbe un modo per iniziare a mettere delle toppe su un sistema ormai fuori controllo. Che minaccia non solo le imprese e i pazienti ma gli stessi conti regionali. Come testimonia l’incertezza creata dalla vittoria delle aziende che hanno fatto ricorso al TAR contro il pay back 2013 (primo anno di applicazione dello strumento) e che ha bloccato sia i versamenti relativi al 2013 che le procedure dell’AIFA per allocare il pay back 2014. Questo precedente dovrebbe convincere tutti, a partire dalle Regioni, che è necessario correre ai ripari quantomeno per fare un primo sostanziale tagliando al meccanismo, in attesa di tempi migliori speriamo molto ravvicinati per poter provare un sistema più efficace di controllo della spesa (e anche qui non mancano le possibili opzioni per sostituire il pay back con meccanismi altrettanto efficaci dal punto di vista dei conti pubblici e meno intrusivi dal punto di vista delle imprese). Occorre per ora quantomeno limitarne gli effetti più nefasti. Evitando di moltiplicarli, come succederebbe se lo si estendesse ad altri mercati, come purtroppo già si sta facendo, e lo si applicasse a livello regionale anziché nazionale, complicando di molto un meccanismo già eccessivamente complesso.
La strada da percorrere appare dall’esterno piuttosto chiara, non c’è che da augurarsi che questa chiarezza ci sia anche nelle stanze governative dove sta prendendo forma il disegno di Legge di Stabilità 2016.