Il canone Rai continua a tenere banco sui media. L’ultima notizia è il dato sull’abnorme evasione. Ben sette milioni sarebbero le famiglie italiane che il canone non lo pagano. La cifra è calcolata partendo dai Istat sul numero di famiglie italiane che in totale ammonta a 23 milioni da cui vengono sottratti gli abbonati (paganti) Rai, circa 16 milioni. Questo quanto emerge in un documento del Ministero dell’Economia e delle Finanze inviato al Senato per rispondere ai rilievi e alle richieste di chiarimento formulate al governo dal Servizio Bilancio del Senato nella nota di lettura relativa al disegno di legge di Stabilità 2016, pubblicata il 2 novembre.
Il Mef ritiene più che prudenziale prevedere che il pagamento del canone tramite la bolletta elettrica possa generare “maggiori entrate e che il gettito ritraibile dalla nuova forma di versamento possa essere almeno pari a quello che è stato introitato attualmente come canone, tassa di concessione governativa e Iva”.
A occhio il dato sull’evasione riportato nel documento del Mef non parrebbe tener conto di un altro dato Istat, quello relativo al numero dei televisori presenti nel 97% delle case degli italiani, recentemente richiamato dal sottosegretario Ministero dello Sviluppo Economico Antonello Giacomelli. In questo caso, infatti, i milioni di famiglie che si rifiutano di pagare il canone sarebbero dovute essere circa 6,3.
Tra le ultime dichiarazione di Giacomelli, a cui è toccato l’onere di coordinare i lavori di un specifico sulle nuove modalità di esazione del canone, vi sono anche quelle relative al pagamento del canone per altri device in grado di visualizzare i programmi Rai tramite internet. Giacomelli ne ha confermato l’esclusione – «Non cambia nulla rispetto alla normativa attuale, almeno per il momento. Per il futuro vedremo» – mentre ha avvalorato il pagamento del canone per chi possiede anche solo un apparecchio radiofonico. Chi scrive è un fedele e dipendente ascoltatore di Radio3, da sola già bastevole a giustificare il canone, si tratta tuttavia di un caso personale mentre è un fatto che la emittenti radiofoniche della Rai sono 10 e i canali televisivi 15.
Come sembra chiaro che l’approccio della riforma del canone, pur trattandosi di imposizione fiscale, non pare prendere in considerazioni alcun particolare elemento di equità, eppure una volta, quando il canone lo pagavano tutti o quasi, vi era differenza tra televisori a colori e televisori in bianco e nero. Del resto, quando alla presunzione che chi possiede il televisore beneficia in tutto o in parte del servizio radiotelevisivo pubblico si aggiunge quella che chiunque ha l’energia elettrica possiede un televisore spazi per distinzioni ed eccezioni ne restano ben pochi. E restano i dubbi, da qualcuno subito espressi, sulle finalità della riforma: difficile resistere alla tentazione di recuperare altre risorse. Tutti elementi che giustificano i timori che perdurano su pc, smartphone, tablet, etc; per quanto già nel febbraio 2012 il Ministero dello Sviluppo Economico-Dipartimento per le Comunicazioni abbia precisato cosa debba intendersi per “apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni” vale a dire tutte le apparecchiature munite di sintonizzatore per la ricezione del segnale (terrestre o satellitare) di radiodiffusione dall’antenna radiotelevisiva, non internet quindi. Peraltro, come ben sa chi il televisore non ce l’ha, non tutti i prodotti trasmessi dalla Rai in chiaro – film, manifestazioni sportive ecc. – possono essere riprodotti in streaming per mancanza di (specifici) diritti.
Ovviamente, però, si tratta di pagliuzze difronte all’induzione della bolletta dell’energia elettrica e delle varie riscossioni non elettriche e non afferenti a scelta rateizzabili. Un vero mostro di efficienza, efficacia e, per l’appunto, equità che ci invidieranno all’estero. Dopo risatina, s’intende.
@ilFrancoTirator