Dal cord cutting alla convergenza: evoluzione del mercato audiovisivo connesso

confronto-netflixNel 2014 la percentuale di utenti Internet che ha fruito di video online è stata preponderante nella maggior parte dei mercati chiave occidentali, nello specifico del 92% in Spagna, del 91% in Italia, del 79.9% nel Regno Unito, del 78.4% negli Stati Uniti e del 75.1% in Francia. La quota di traffico dati dedicato al consumo video è anche salita, passando dai 64 punti percentuali del 2014 ai 66% attesi per la fine dell’anno in corso: il segmento è inoltre destinato a crescere maggiormente nei prossimi anni rispetto ad altri possibili utilizzi di banda come mail, file sharing e giochi online, con un CAGR del 33%.

Questo lo scenario descritto nel focus del Rapporto I-Com 2015 all’interno del quale si è tentato di illustrare la “nuova stagione della convergenza” e le dinamiche di crescita del mercato “audiovisivo connesso” a livello nazionale ed internazionale.

Dopo essere comparso nel mercato dell’audiovisivo tra gli anni ’90 e gli anni ’10 del 2000, il fenomeno della convergenza tra media e telecomunicazioni è infatti entrato in una nuova stagione caratterizzata da un rapporto sempre più stretto tra tv e reti informatiche. A spingere in tale direzione l’aumento della forza di mercato dei servizi OTT (Over the Top), che utilizzano Internet per la distribuzione di contenuti on demand, bypassando i canali di emittenza tradizionali quali cavo, satellite e DTT. Con 69 milioni di utenti a livello mondiale e la recente espansione in altri tre Paesi europei, tra cui l’Italia, la compagnia californiana Netflix ha rafforzato la propria posizione quale leader internazionale dello streaming ad abbonamento, evidenziando la crescente consapevolezza ed adozione dell’on demand online da parte del nuovo pubblico connesso. Nel secondo trimestre del 2015, di contro, le pay-tv americane hanno subito il maggior calo di abbonati di sempre, con un saldo negativo di 658 mila utenti e un tasso annuale di abbandono in salita dallo 0.1 allo 0.7%. A conferma del graduale spostamento verso l’offerta OTT, l’anno in corso ha visto anche il proliferare delle piattaforme “stand alone” delle emittenti americane a pagamento, prima fra tutte HBO. Per contrastare l’avanzata dei servizi di SVOD (subscription on demand) come Netflix, anche gli operatori lineari hanno infatti intrapreso una corsa a lanciare abbonamenti meno costosi, slegati dalla pay-tv tradizionale e destinati specificatamente al pubblico del web, in certi casi anche solo del mobile. Nonostante le “contromisure”, ad agosto il decremento di abbonati è approdato anche a Wall Street, traducendosi in una serie di ribassi subiti dalle principali media company statunitensi con perdite anche del 10% in un singolo giorno di contrattazioni. Alla base di una simile reazione dei mercati, i timori sempre più accentuati rispetto al fenomeno del cord cutting, cioè della migrazione degli spettatori televisivi dai canali tradizionali verso i servizi on demand. Una definizione nata nel contesto statunitense, ma applicabile ormai a tutti i mercati audiovisivi maturi. Sempre nel secondo trimestre del 2015, la perdita di abbonati pay ha colpito ben 23 Paesi in tutto il mondo, seppur a livelli diversi a seconda del tipo di piattaforma. A spingere il segmento, una nuova ondata di acquisizioni e partnership strategiche tra telco e media, tanto negli USA quanto in Europa. Si parla, nello specifico, di operazioni chiave nel nuovo scenario della convergenza come la fusione tra AT&T e Direct TV; il tentato merger tra Comcast e Time Warner Cable; l’acquisizione di Cablevision da parte di Altice; il fallito swap azionario tra Liberty Global e Vodafone; dell’unione dei rami europei di Sky sotto il cappello della società britannica, impegnata anche in una crescente competizione sul mercato locale con le attività televisive di British Telecom.

Per quanto riguarda l’Italia, oltre l’ingresso di Vivendi in Telecom Italia come azionista di maggioranza, si segnalano soprattutto gli accordi stretti dalla società guidata daMarco Patuano e Vodafone con tutti i principali fornitori di contenuti tv e on demand: da Sky a Mediaset Premium fino al newcomer Netflix. La parola d’ordine, tanto nel mercato italiano quando internazionale, ritorna perciò a essere triple o quad play: pacchetti completi di telefonia fissa e mobile, connessione a Internet e tv, tutti veicolati attraverso le nuove reti broadband e ultra broadband che, dal canto loro, necessitano dei contenuti per aggiungere valore alla propria offerta e sostenere così gli investimenti sul network.

Il valore stimato del giro d’affari degli operatori audiovisivi Over the Top, di tutto il mondo, per l’anno 2015 è di 26 miliardi di dollari, in aumento di oltre 6 volte rispetto ai 4 miliardi registrati 5 anni fa e destinati quasi a raddoppiare fino a raggiungere i 21.1 miliardi nel 2020. Quasi un terzo dell’ammontare dell’anno in corso, cioè 9.9 miliardi di dollari, sarà raccolto dai servizi di SVOD, che si confermano driver di crescita per l’intero comparto, per altro in procinto di superare l’advertising quale prima fonte di entrate del ramo OTT. In Italia, di contro, il mercato dell’on demand vale appena 25 milioni di euro, contro i 686 milioni del Regno Unito, i 249 milioni della Francia e i 201 milioni della Germania, evidenziando un chiaro ritardo che potrebbe essere colmato solo parzialmente dal lancio di Netflix, avvenuto lo scorso 22 ottobre.

Il colosso americano dello streaming ad abbonamento raggiunge infatti un comparto ancora in fase embrionale ma già “affollato” dai principali marchi della tv (Sky Online e Infinity di Mediaset, quest’ultimo con 360 mila utenti dichiarati) e delle telco (Timvision, 200 mila abbonati). Il prodotto di nicchia e di qualità è presidiato da servizi quali MyMovies e Mubi mentre sul lato TVOD (transactional video on demand), oltre ai grandi portali USA per il noleggio e l’acquisto di film e serial in digitale (iTunes, Google Play, Microsoft e Playstation Video, più la giapponese Wuaki.tv), l’italiana Chili si è distinta per una strategia di espansione che l’ha portata in altri territori europei chiave quali Regno Unito, Austria, Germania e Polonia.

Pur contribuendo alla crescita complessiva del comparto, a dicembre 2015 Netflix non dovrebbe perciò superare i 150 mila utenti in Italia, in linea con quanto avvenuto col roll-out francese e tedesco a settembre 2014. In questi Paesi, caratterizzati da emittenti nazionali forti e servizi SVOD già avviati, la penetrazione di Netflix è attualmente al 37 e al 40% di tutti gli utenti subscription, mentre lo stesso modello di business raggiunge appena il 10% della popolazione adulta. Anche in Italia si prevede che il servizio non superi il 28% delle famiglie nel 2020.

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