Lo scorso 27 novembre SDA Bocconi e CERGAS hanno presentato la 16° edizione del Rapporto OASI, che offre, ormai dal 2000, un’analisi dei trend evolutivi del SSN e del settore sanitario italiano. Diverse sono le evidenze emerse dallo studio, di queste solo alcune sono descritte nel presente articolo.
La spesa sanitaria pubblica tra il 2009 e il 2014 ha registrato un aumento medio annuo pari ad appena lo 0,7%, invertendo il trend del quinquennio pre-crisi (2003-2008), in cui i livelli di crescita si attestavano intorno al 6% annuo.
È, ormai, noto che la spesa pubblica costituisce bersaglio di continui tagli e in tale contesto la sanità pubblica è uno dei settori maggiormente colpiti.
La difficile situazione economico-finanziaria non ha impedito, però, al SSN di consolidare l’equilibrio di bilancio, giunto oramai al suo terzo esercizio consecutivo. Di conseguenza il SSN presenta tutti i sistemi sanitari regionali in equilibrio (ad eccezione di Sardegna e Molise, fortunatamente di scarso impatto complessivo a causa della loro modesta popolazione in termini quantitativi). Non esistono più Regioni con gravi disavanzi, anche grazie alla contabilizzazione delle addizionali regionali incassate nell’anno successivo a ripiano del deficit dell’anno precedente; al contrario, alcune delle Regioni storicamente in deficit (Lazio, Campania e Sicilia) si trovano oggi con un leggero avanzo annuale, che utilizzano per contribuire a saldare debiti pregressi.
Tuttavia, molte Regioni, verso fine anno, sospendono o rallentano l’erogazione di alcune prestazioni sanitarie. Nelle strutture pubbliche, il fenomeno è dovuto ai rigidi tetti di spesa sui dispositivi medici che aggrava ulteriormente la carenza di personale, soprattutto nelle Regioni sottoposte a piano di rientro.
Dunque, nonostante un quadro epidemiologico non di certo tra i migliori e dispositivi medici e farmaci sempre più innovativi ma anche più costosi, il SSN è riuscito a mantenere stabile il suo livello di spesa, senza produrre alcun deficit.
Il contenimento della spesa pubblica – come emerge dal rapporto – è stato ottenuto mantenendo e rafforzando progressivamente rigidi budget per singoli fattori produttivi, che sono stati centralmente pianificati e il cui rigoroso controllo è stato affidato alle singole regioni, incentivate dall’onere di dover far fronte ad ogni eventuale deficit sanitario con un aumento automatico delle loro aliquote fiscali.
È molto probabile che alla lunga, però, le leve disponibili per la razionalizzazione tendano ad esaurire i loro effetti positivi e contrariamente risultino in aumento le manovre di razionamento in un contesto in cui i bisogni aumentano, le innovazioni tecniche sono sempre più costose e il livello di finanziamento resta immutato.
Tali manovre comportano la riduzione dei budget per le strutture private accreditate nonché liste d’attesa più lunghe; queste ultime costituiscono i principali motivi che spingono i pazienti a non rivolgersi più al sistema sanitario pubblico: in Italia, infatti, i cittadini pagano il 40% delle visite specialistiche, il 49% delle prestazioni di riabilitazione e il 23% degli accertamenti diagnostici. Eppure, la spesa out-of-pocket non è cresciuta significativamente negli ultimi anni anche se rappresenta ormai un mercato consolidato.
Le politiche di contenimento determinano, inoltre, un aumento dell’obsolescenza media del parco tecnologico del SSN: oggi, infatti, il 75% delle attrezzature presenti nelle strutture sanitarie è vecchio e completamente ammortizzato; nonostante ciò continua ad essere utilizzato per mancanza di risorse da investire in nuovi macchinari e tecnologie. Anzi – come precisato nel rapporto – molto spesso il parco tecnologico è sottoutilizzato perché data la capillare distribuzione delle attrezzature tra i presidi ospedalieri, queste restano spente per molto tempo.
Infine, dall’analisi dei bilanci pubblici delle aziende del SSN emerge una situazione di diffuso equilibro economico tra le aziende non soggette a PdR. Le aziende, invece, assoggettate a PdR, seppur non raggiungendo ancora il pareggio, hanno mediamente ridotto il divario con le prime.
Diversamente l’analisi dello stato patrimoniale del SSN evidenzia molte criticità: il livello di indebitamento delle aziende sanitarie pubbliche resta elevato, presumibilmente per effetto delle cospicue perdite accumulate negli esercizi precedenti e non ancora coperte. Al termine dell’esercizio 2013, infatti, le aziende analizzate totalizzavano perdite cumulate pari a circa 33,7 miliardi di euro, a fronte di contributi per ripiano perdite iscritti nel patrimonio netto per circa 21,3 miliardi. I rimanenti 12,4 miliardi di euro dovrebbero essere coperti per il 70% dalle Regioni con mezzi propri. Tuttavia, vi sono ancora 4 miliardi di perdite pregresse ancora non coperte.
Dunque, dall’analisi emerge che le aziende del SSN versano in difficili condizioni di liquidità e solidità patrimoniale, con rapporti di indebitamento molto elevati, alti tassi di obsolescenza delle immobilizzazioni materiali, passività a breve in eccedenza rispetto alle attività a breve e tempi di pagamento dei fornitori molto lunghi.