Si attendeva da tempo ed era facilmente prevedibile visto il consolidarsi delle abitudini di fruizione digitale e on demand da parte degli utenti.
Dopo Amazon e Google anche Apple entra nel business della produzione di contenuti audiovisivi originali, dai film alle serie tv, lanciando la sfida alla piattaforma leader dello streaming Netflix.
Secondo varie fonti americane – tra cui Hollywood Reporter e Variety, – accanto alla versione aggiornata della Apple tv, il box-decoder attraverso cui diffondere questo nuovo servizio in streaming, il gigante di Cupertino, avrebbe avviato discussioni preliminari con le major di Hollywood per negoziare l’acquisto e la produzione di contenuti d’intrattenimento. La gestione di questo nuovo ramo di business sarebbe stata affidata a Eddy Cue, Senior Vice President Internet Software and Services di Apple, già incaricato di Apple Music.
Circa le modalità di distribuzione dovrebbe nascere una divisione ad hoc accanto alla diffusione dei contenuti attraverso la Apple Tv la cui nuova versione dovrebbe avere un telecomando completamente rivoluzionato ed integrare l’assistente vocale Siri per il richiamo dei programmi con la voce. Vedremo come sarà accolta anche nel nostro Paese dove alcuni recenti fenomeni indicano un cambio di passo dell’ industria dei contenuti audiovisivi. Della legge di riforma varata dal Mibact di intesa con il Mise e che punta ad internazionalizzare le imprese del settore ad abbattere i confini normativi tra cinema e fiction abbiamo già parlato due settimane fa. Alcune aziende come Wildside e Cattleya sembrano aver sposato già da tempo questo nuovo approccio produttivo basato sulla qualità ed originalità della narrazione e sulla vendibilità delle proprie opere sui mercati esteri. The Economist di recente ha dedicato al tema un bel pezzo dal titolo “Italian Politcal Drama is the new Nordic Noir” (intervistando gli autori di 1992 e Gomorra). Nell’articolo si elogiano le nostre produzioni riconoscendo al mercato italiano un tempo chiuso nei propri confini domestici e appiattito su storie di “santi, poeti e navigatori” un salto di qualità significativo, azzardando un parallelo con il modello scandinavo (The Bridge, The Killing): (…)“for 20 years Italian television has been populated by priests, saints, nuns and good policemen. We’ve been told audiences had to be reassured, that they should be told everything is good and that everything is going well,” says Ludovica Rampoldi, a writer on “1992” and “Gomorra”, two series that are not postcards from idyllic Italy. “But our society is one of the most conflicted and corrupt in Europe.” Un altro passaggio degno di nota, sottolinea il ruolo rilevante assunto dai broadcaster nelle strategie di commissioning, Sky in primis che a breve lancerà The Young Pope ma anche Rai con l’accordo siglato con Netflix per l’operazione Suburra: (…) Global audiences’ taste for edgier, darker stories is creating an opportunity for television providers to differentiate themselves in European markets. So far, these creative offerings have been gratefully received; Sky Italia’s “Romanzo Criminale”, “1992” (pictured) and “Gomorra” have been sold to hundreds of international territories—season two of “Gomorra” will air simultaneously across Sky’s European networks this spring. Sky’s next and most ambitious project, “The Young Pope”, is a partnership with HBO and will be directed by Oscar-winning Italian director Paolo Sorrentino. Even Rai, the public broadcaster, has reacted to the increasingly international character of the industry today by collaborating with Netflix on “Suburra”, a series about organised crime on the Roman coast.”(…). A deromanticised Italy is “the best time there’s been to be a writer in Italy for 30 years.”
Anche nel nostro Paese trovano ampio consenso e iniziano a farsi largo generi come il police-action o il political drama. E si arriva addirittura a porre sullo stesso piano “1992” e l’inarrivabile “Game of Thrones”: Each of the ten episodes of “1992” (the next season—“1993”—is being written) represents a month, and tracks the “clean hands” operation that dismantled Italy’s corrupt hierarchy. It has a similar structure to “Game of Thrones” except that each character, rather than trying to reach the throne, is trying to get into parliament.
Il made in Italy audiovisivo, insomma, è al centro dell’interesse dei grandi gruppi europei ed internazionali alle quali fanno gola le nostre aziende più innovative e aperte e patrimonializzate, un segnale che va nella giusta direzione, quella di aprire maggiormente le nostre aziende verso i mercati esteri per accrescere i propri budget, slegandosi dai tradizionali e in parte obsoleti meccanismi di finanziamento interni e aumentando il grado di visibilità delle nostre opere a livello internazionale.
Prendiamo Vivendi, media company attiva nell’industria della musica, della televisione e del cinema: controlla partecipazioni strategiche in società di spicco quali Universal Music, Canal+, Studio Canal, Daily Motion (80%), Telecom Italia (20.03%), Ubisoft (10.39%) e Gameloft (10.2%). La nuova strategia aziendale è sintetizzata nelle parole dell’Amministratore Delegato, Arnaud de Puyfontaine: “Abbiamo 9 miliardi in cash. Abbiamo le risorse per cogliere le opportunità che ci permettano di espandere Vivendi. Telecom Italia intende essere parte dell’evoluzione dello scenario dei media in Italia. Già lo scorso novembre Vivendi aveva messo a segno un bel colpo, stringendo un accordo per entrare nel nascente gruppo Banijay Zodiak con il 26,2 %. L’operazione dovrebbe concludersi nel primo semestre del 2016 e l’assegno staccato vale circa 300 milioni di euro. La fusione tra Banijay e Zodiak porterà alla creazione di una società dal valore di 1 miliardo di euro di fatturato diventando la terza al mondo nella creazione di contenuti tv dopo Endemol-Shine e Fremantle. Quest’ultima – come raccontato anche su questo blog – alcuni mesi fa si era assicurata una presenza sul nostro mercato, acquistando la Wildside di cui sopra, nata nel 2009 dalla fusione di Wilder e Offside. Il gruppo inglese controllato da Rtl di Bertelsmann aveva rilevato il pacchetto di maggioranza della casa di produzione italiana guidata da Paolo Mieli e Mario Gianani, fiore all’occhiello delle produzioni di qualità in grado di orientare il proprio business sui mercati internazionali (The Young Pope), con un valore economico di 40 milioni.
Tornando a Vivendi, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, il colosso francese dei media, sta rivolgendo le proprie mire sul nostro mercato dei contenuti. Dopo l’ingresso prepotente in Telecom assicurandosi connettività e banda ultra larga, indovinate su quale casa di produzione ha rivolto il suo sguardo ? La risposta è facile così come agevole è comprenderne le ragioni di questo nuovo investimento in terra italica. Stiamo parlando di Cattleya (vedi sopra) leader di mercato con ricavi annui che oscillano fra i 40 e 50 milioni di euro (38,6 i milioni di ricavi nel 2014) e che dal 2009 è anche entrata nel campo della pubblicità. Senza andare troppo indietro nel tempo (Cattleya è attiva da 15 anni), possiamo ricordare fra le produzioni di maggior richiamo Romanzo Criminale, Gomorra-La serie e come già ricordato il film prodotto da Netflix Suburra in collaborazione con Rai, diretto da Stefano Sollima. Stando alle fonti di mercato Vivendi entrerebbe nel capitale con una quota di minoranza, mentre la maggioranza dovrebbe rimanere saldamente in mano agli attuali soci fra cui il Presidente Anica Riccardo Tozzi, azionista alla pari con gli altri due soci amministratori Stabilini e Chimenz. Un gruppo solido e affidabile che tra i soci minoritari vede la presenza storica del gruppo editoriale DeAgostini Communications e del fondo di investimento IMI San Paolo, nonché della major Universal Pictures International, primo investimento diretto da parte di un grande studio statunitense in una società di produzione cinematografica italiana.
I contenuti audiovisivi dopo essere rimasti troppo a lungo nell’ombra e totalmente trascurati nei programmi del Governo sulla crescita digitale, acquistano oggi un peso strategico grazie alla presenza di una felice congiuntura legata a nuove dinamiche di mercato e più coraggiosi strumenti di policy: da un lato si assiste ad un inarrestabile processo di consolidamento guidato dalla convergenza di interessi di piattaforme on line, infrastrutture di telecomunicazione e media company che ora operano all’interno di un unico grande agone competitivo; dall’altro, alcuni nostri fornitori di servizi media audiovisivi in collaborazione con la punta avanzata del mondo della produzione muovono verso un riposizionamento strategico fondato sulla penetrazione nei mercati esteri. Ed è proprio su un’approfondita analisi di tali fenomeni che poggia la riforma varata dal governo poche settimane fa, frutto di una rinnovata lungimiranza dei nostri policy makers e di una inedita condivisione di obiettivi strategici tra Ministero della Cultura e quello dello Sviluppo Economico (fino a poco tempo fa visti come antitetici). Una legge di sistema che per la prima volta si sintonizza con le nuove esigenze del mercato e che introduce incentivi tali da garantire ricadute importanti sulla crescita delle imprese, sull’occupazione e sullo sviluppo della creatività e dell’innovazione. “E intanto – a completare questo processo convulso di consolidamento – giungono voci di un interesse da parte del gruppo Vivendi per Mediaset Premium…”