Tra poco meno di un mese il Popolo italiano sarà chiamato ad esprimersi sul delicato tema della ricerca ed estrazione degli idrocarburi. Si tratta di un referendum promosso da 9 Consigli Regionali[1], appoggiati da numerosi movimenti e associazioni ambientaliste tra cui il coordinamento No-Triv. Al momento, la questione non è tanto l’essere favorevoli o contrari alla domanda posta dal referendum, quanto la carenza di informazione sul tema.
Molte le polemiche che ruotano intorno al referendum, sia per la natura specifica dell’argomento sia per i tempi di realizzazione scelti. Infatti, nonostante la programmazione in molte città italiane delle elezioni amministrative in giugno, si è preferito scindere i due voti in date separate con un ovvio incremento dei costi.
Nello specifico, il prossimo 17 aprile verrà chiesto agli italiani un’opinione riguardo la possibilità che le concessioni già rilasciate durino fino all’esaurimento dei giacimenti, in tal modo prorogando i termini già previsti dalle concessioni stesse. Dunque, il quesito non riguarda le nuove trivellazioni – già vietate entro 12 miglia dalla costa – ma l’eventuale prolungamento delle concessioni agli impianti già esistenti. Non è prevista alcuna modifica per i grandi giacimenti oltre le 12 miglia dalla costa.
Ferma restando la necessità di raggiungimento del quorum per la validità del risultato, se i “sì” dovessero avere la meglio allo scadere delle concessioni – entro un tempo compreso tra i 5 e i 20 anni in funzione dell’età dell’impianto – verranno bloccati gli investimenti e verrà impedito un ulteriore sfruttamento dei giacimenti, seppur ancora potenzialmente proficui. In tal modo sarebbe possibile mitigare i rischi di incedenti ambientali di grandi dimensioni nei mari italiani. Ciò avrebbe un impatto sull’economia, in termini di perdita di know-how – l’Italia, con Ravenna in particolare, vanta una posizione qualitativa e tecnologica di primo piano in materia di perforazioni – di inevitabili maggiori importazioni, maggiore traffico petrolifero e di royalty delle Regioni.
In caso di vittoria dei “no”, la legge resta immutata. Le compagnie petroliere potranno richiedere il prolungamento dell’attività in seguito all’ottenimento della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e, teoricamente, investire nel rinnovamento degli impianti, tecnologie e sicurezza. I conservatori dello status quo non ravvisano particolari rischi di disastri ambientali sul territorio italiano e non reputano possibile il replicarsi di quanto avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico[2].
Le linee guida potrebbero riassumersi così: una politica attraverso la quale la maggioranza di “sì” invierebbe un chiaro segnale al Governo contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili; un’altra economica, che attraverso la supremazia dei “no” vuole salvaguardare l’economia, ma anche la leadership tecnologica, di un Paese già fortemente dipendente dall’estero per il proprio approvvigionamento energetico. Si tratta in realtà, di due facce della stessa medaglia, una scelta non semplice, che richiede a ogni cittadino di chiarire le proprie priorità.