La “sharing economy” ed il particolarismo nazionale: una nuova sfida per l’Unione europea?

L’economia della condivisione, meglio nota come “sharing economy”, rappresenta senza dubbio uno dei fenomeni socio-economici più interessanti degli ultimMind Mapi anni. Si tratta di un fenomeno ricco di sfaccettature ed applicazioni che ha dato vita ad uno scenario ad elevata complessità che spesso sfugge alle tradizionali definizioni e regole. Con tutte le difficoltà definitorie del caso, quando si parla di sharing economy si fa per lo più riferimento a tutti quei modelli di business che consentono a produttori e consumatori di condividere un bene o un servizio. Generalmente tali modelli ruotano attorno a piattaforme digitali o applicazioni mobili che consentono in tempo reale l’incontro e lo scambio tra estranei.

Quali le ragioni che hanno determinato la nascita della sharing economy? Nonostante le diverse opinioni in merito molti concordano sul fatto che le sharing economies rappresentino una naturale risposta alla crisi finanziaria in atto ed, al contempo, siano espressione, da un lato, di un desiderio di uno stile di vita più sostenibile che valorizzi l’individuo e l’ambiente e, dall’altro, dell’esigenza, in un mondo sempre più sconfinato ed indifferente, di sentirsi parte di un gruppo. Siamo, quindi, di fronte ad un vero e proprio cambiamento della sfera di valori che senza dubbio è stato favorito dalla diffusione degli smartphone e dei social network che hanno infuso negli utenti l’abitudine a condividere idee, musica e testi secondo una modalità che dal mondo digitale si è poi affermata anche nella dimensione reale. Sono diversi i settori interessati dal fenomeno sharing economy anche se viaggi e trasporti sembrano essere quelli dalle più interessanti prospettive. Si pensi all’enorme successo di Uber e Blabla car oppure alla straordinaria diffusione di Airbnb che stanno a dir poco rivoluzionando il modo di spostarsi, viaggiare e soggiornare.

A fronte di un fenomeno così interessante non solo per i risvolti sociologici ma anche per l’impatto economico e di mercato in grado di sortire, l’Unione europea non è rimasta indifferente. Secondo le notizie riportate dalla stampa, infatti, la Commissione pubblicherà in tempi brevi delle linee guida per favorire la condivisione di risorse e mezzi e contrastare quelle differenze attualmente esistenti tra paese e paese – si pensi al caso di Uber che è accettata in Gran Bretagna e minacciata con multe in Francia – con l’auspicio di favorire un’armonizzazione delle regole per le società della sharing economy. È diverso tempo, infatti, che le società di sharing economy denunciano le criticità legate alle peculiarità delle singole normative nazionali reclamando un’uniformità normativa indispensabile anche in un’ottica di efficienza aziendale. In uno scenario caratterizzato da elevata frammentazione normativa, l’approccio della Commissione sembra orientato a non ostacolare il fiorire della sharing economy ed a predisporre misure regolatorie light, come ad esempio, l’introduzione di limiti al numero di giorni per cui è possibile affittare un appartamento su siti web come Airbnb. Ciò nonostante sono ancora forti le resistenze da parte di alcuni Paesi europei e sarà probabilmente lungo e difficoltoso il processo di armonizzazione che le imprese di sharing economy ed il concetto stesso di Unione europea richiedono.

È fuor di dubbio che il fenomeno ormai esiste e si sta sempre più diffondendo andando a ridisegnare i confini e gli attori dei diversi settori economici tradizionalmente noti plasmandoli secondo le modalità e l’agilità tipiche del nuovo mondo digitale. Combattere la rivoluzione in atto forse non è la strategia migliore. A fronte di un mondo che cambia e cambia ad una velocità incontrollabile forse l’unica scelta possibile è accompagnare il cambiamento predisponendo un set minimo di regole che siano in grado di mettere ordine ed assicurare un’adeguata tutela dei consumatori senza però ostacolare lo slancio di una nuova e fiorente economia che nel digitale trova il suo successo riuscendo a soddisfare esigenze nuove che nessun approccio conservatore potrà probabilmente riuscire a soffocare.

 

Vicepresidente dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Tor Vergata nel 2006 ha partecipato, nel 2009, al master di II Livello in “Antitrust e Regolazione dei Mercati” presso la facoltà di Economia della medesima università conseguendo il relativo titolo nel 2010, anno in cui ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense.

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