L’industria audiovisiva britannica avrebbe votato “remain”. È quanto emerge da un recente sondaggio reso noto dalla Creative Industries Federation, secondo la quale il 96% dei suoi mille membri, tra cui Fox, Aardman, Lionsgate, Channel4, NBC Universal and Disney, era contrario alla Brexit.
Le conseguenze immediate dell’uscita si sono già viste: secondo un’analisi di Screen, i risultati del referendum hanno determinato, dal punto di vista finanziario, il calo del valore di mercato di diversi broadcaster nazionali così come di player internazionali come ITV, Sky o Vivendi.
Ma gli scenari futuri aprono le porte a numerose possibilità, tutte poco favorevoli all’industria audiovisiva britannica. Il Regno Unito è infatti il primo produttore europeo di contenuti audiovisivi e l’Unione ne è il principale partner commerciale. Complice la diffusione della lingua e una politica volta a favorire, in oltre 10 anni, la riorganizzazione dei rapporti tra bradcaster e produzione indipendente, il suo contributo al rispetto degli obblighi di programmazione dettati dalla direttiva sui Servizi Media Audiovisivi è stato, finora, fondamentali. Direttiva attualmente in fase di revisione da parte dell’Unione europea e sulla quale I-Com ha dedicato un evento di approfondimento la settimana scorsa.
I paletti imposti dalla direttiva alle emittenti comunitarie, ovvero riservare la maggioranza del tempo di trasmissione ad opere europee e almeno il 10% ad opere di produttori indipendenti (o di investirvi il 10% del bilancio destinato alla programmazione), obblighi che saranno estesi al 20% dell’offerta dei servizi non lineari, hanno dato una spinta importante alla circolazione transnazionale delle opere comunitarie.
Ma cosa succede se il principale produttore di contenuti decide di uscire dall’Unione? Succede che potrebbe mancare l’incentivo, per gli Stati membri di acquistare contenuti d’Oltremanica, che, non avendo più la “protezione” comunitaria, finirebbero per entrare in diretta concorrenza con i fortissimi prodotti statunitensi. In altre parole, tutto il sistema produttivo britannico potrebbe avere difficoltà di sbocco nei mercati dell’Unione anche a causa dell’introduzione di eventuali dazi. Verrebbe meno anche la libertà di circolazione dei talenti e cambierebbe il sistema dei rapporti con coproduttori, finanziatori e distributori.
Il Regno Unito rischia, inoltre, di vedersi tagliata una cospicua dose di fondi per quello che è uno dei suoi mercati più fiorenti: l’industria creativa britannica, deve, infatti, parte del successo dei propri prodotti al grosso aiuto fornito dai finanziamenti comunitari, che ovviamente, a meno di accordi, verranno meno quando l’uscita dall’Unione sarà formalizzata. Tra il 2007 e il 2013 il programma MEDIA ha infatti finanziato l’industria audiovisiva per ben 110 milioni di euro; in particolare, Europa Creativa ha supportato 227 tra organizzazioni culturali e creative e imprese audiovisive nel Regno Unito, tra cui 52 cinema del circuito Europa Cinemas, e la distribuzione di 84 film britannici in altri stati membri per un totale di 40 milioni di euro.
A ciò si aggiunga – come è stato sottolineato anche sulla stampa italiana – il ruolo svolto dai fondi europei di sviluppo regionali, grazie ai quali ad esempio è possibile girare in Irlanda del Nord alcuni episodi della celebre serie televivsiva Games of Thrones, con un impatto significativo sull’indotto di quel territorio. Fondi i cui rubinetti verrebbero irrimediabilmente chiusi in caso di uscita definitiva.
Non dimentichiamo infatti che le grandi major statunitensi, la cui presenza strategica a Londra aveva lo scopo di limitare i danni protezionistici a loro imposti dalle regole dell’Unione, potrebbero decidere di chiudere gli studios britannici e riportare la propria produzione oltre Oceano (o semplicemente oltre la Manica). E grandi colossal come la serie di punta tragata HBO, la cui decisione di girare alcune scene a Belfast era dettata prorpio dall’esigenza di ammortizzare i costi di produzione usufruendo delle agevolazioni Ue, potrebbero fare le valigie.
Insomma attualmente siamo in una fase di grossa incertezza: non si conoscono le reali conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, incertezza che non fa bene al settore della produzione audiovisiva, che, a causa degli alti rischi e costi da sopportare, ha invece bisogno di regole certe.