Spesa farmaceutica insostenibile? L’insufficienza della copertura pubblica mina l’equità nell’accesso alle cure.

Grafico_blogLa questione della sostenibilità del SSN non si è sicuramente manifestata all’improvviso. Negli ultimi venti anni diversi fattori hanno guidato la progressiva crisi di sostenibilità del sistema: dai cambiamenti demografici, economici e sociali, all’innovazione (farmaceutica e tecnologica), alla riforma del Titolo V della Costituzione, alla gestione a compartimenti stagni delle aziende sanitarie. La risposta politica, soprattutto a seguito della crisi del biennio 2008 – 2009 e successive ricadute, è stata poi guidata dalla necessità di fornire risposte urgenti, soprattutto dati i (vecchi e nuovi) vincoli imposti a livello europeo.  Per onestà intellettuale, si ricorda comunque che secondo Bloomberg  il sistema sanitario italiano è tra i più efficienti nel mondo. I criteri presi in considerazione sono l’aspettativa di vita, il rapporto tra il costo del sistema sanitario e il PIL e il totale delle spese mediche per cittadino. Certo è che l’indicatore risente della nostra alta speranza di vita e del basso finanziamento del SSN. Comunque uno dei nostri meriti sarebbe stato quello di riuscire a mantenere la copertura dei servizi essenziali anche in tempi in cui è stato imposto un importante taglio di spesa.

 Meglio dunque lasciare gli indicatori ed affidarsi a qualche riflessione. Nel rapporto I-Com “La riforma della governance farmaceutica: da una visione a silos a una olistica della spesa sanitaria”, si rileva che nei sette anni 2007 – 2014 la spesa sanitaria in Italia si è ridotta dell’ -1,8% in termini reali ed una delle voci su cui sono stati effettuati i maggiori tagli è stata proprio quella della spesa farmaceutica (-15,5% nello stesso lasso di tempo); soprattutto la farmaceutica convenzionata è stata più volte epicentro delle manovre di spending review.

I maggiori effetti di contenimento della spesa sono stati infatti conseguenza delle politiche direttamente controllabili dal governo centrale (farmaceutica e personale); meno incisive invece le misure che ricadono sotto l’autonomia delle regioni (spesa per beni e servizi; dispositivi medici; acquisti di prestazioni ospedaliere e altre prestazioni da privato).

Con il sistema dei tetti, segue il rapporto, la copertura della spesa farmaceutica si è ridotta di più di un miliardo di euro arrivando a circa 16 miliardi nel 2015. La riduzione più marcata la ha subita la copertura della farmaceutica territoriale, il cui tetto è stato portato dal 14% (2007) all’11,35% (2012, attualmente vigente); tanto da abbassare complessivamente la copertura della spesa farmaceutica, nonostante l’alleggerimento del tetto sulla componente ospedaliera dal 2,4% al 3,5%. È comunque proprio la spesa ospedaliera che sin dal 2008 sfora il tetto previsto per la sua copertura senza soluzione di continuità, e peraltro in maniera nuovamente crescente dopo il rientro nel 2013. Anche la spesa territoriale è tornata a sfondare il tetto dell’11,35% nel 2015 nonostante l’istituzione per il biennio 2015 – 2016 di un fondo per i farmaci innovativi svincolato dal tetto. La riduzione della copertura della spesa farmaceutica preoccupa soprattutto perché non sembra seguire l’evoluzione del fabbisogno di salute. La crescita della cronicità prevalentemente legata al rapido invecchiamento della nostra popolazione (l’85% delle persone con più di 75 anni soffre di almeno una malattia cronica, e il 65% di almeno due, percentuale crescente anche nelle fasce di età inferiori), la crescente presenza di farmaci innovativi in fascia A e l’arrivo di nuovi farmaci ospedalieri migliorativi in termini di efficacia terapeutica e non solo, richiedono e richiederanno negli anni a venire risorse superiori rispetto a quelle esistenti e maggiore efficienza nel loro utilizzo.

Continua peraltro ad essere rilevante il problema delle disuguaglianze sociali nella salute. L’ultimo rapporto Istat evidenzia che lo svantaggio socio – economico si associa a rischi più elevati di cattiva salute e di mortalità, e già pochi anni prima nel rapporto del 2014 si sottolineava che gli indicatori di cronicità e di sopravvivenza stavano mettendo in luce importanti divari di natura economica. In questo contesto la scarsità di risorse a disposizione del SSN e in particolare della spesa farmaceutica rischia di alimentare un circolo vizioso rendendo più vulnerabili fasce sempre più ampie della popolazione, soprattutto a seguito della non lontana crisi economica che ha accentuato le diseguaglianze già esistenti. La spesa sanitaria annua pro capite nel 2014 è in Italia di 444 euro, ma quella dei poveri è di soli 69 euro, – 8% rispetto all’anno precedente. Di questi, 52 euro sono spesi in medicinali (-2,1% rispetto all’anno precedente), mentre in media gli italiani ne spendono 206,20, in aumento del +2,7%. Nello stesso anno 410.000 cittadini si sono rivolti alla fondazione Banco Farmaceutico per avere medicine gratis.

Nel rapporto I-Com le evidenze del sottofinanziamento della spesa farmaceutica e delle sue conseguenze sull’iniquità di accesso alle cure vengono alla luce in modo emblematico anche dove si parla di innovazione farmaceutica. Fa scuola il caso dell’anti-epatite C Sofosbuvir: il costo di un ciclo terapeutico è pari a 37.000 euro per le strutture pubbliche, ma lo stanziamento aggiuntivo del governo è stato pari a un miliardo di euro per due anni, sufficiente per 50.000 malati rispetto ai potenziali 1,5 milioni di persone che hanno contratto il virus e a oltre 300.000 malati conclamati. A fronte di questa consapevolezza, l’unica possibile risposta è riconoscere il carattere prioritario di un cambiamento del sistema che riesca a coniugare i successi dell’innovazione con la sostenibilità economica, abbandonando la dannosa logica dei compartimenti stagni.

 

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