I costi economici e sanitari dell’immigrazione in Italia non sono legati alle presenze regolari sul territorio nazionale; gli stranieri lavoratori producono circa il 9,5% del PIL nazionale, versano circa 7 miliardi di euro in contributi previdenziali e 4 miliardi di euro in tasse pur incidendo, secondo le stime della Banca d’Italia, solo per il 2,5% sulle spese per istruzione, pensione, sanità e sostegno al reddito. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, il 94% degli stranieri presenti in Italia ha un regolare permesso di soggiorno (ISMU, 2013). La maggior parte di coloro che lavorano è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale e paga regolarmente i contributi. A questo punto la quota di immigrati irregolari costituisce il restante 6% della popolazione straniera cui la normativa italiana garantisce i livelli essenziali di assistenza, nello spirito del dettato costituzionale che riconosce la salute come diritto della persona. La spesa sanitaria totale attribuibile all’assistenza di questo 6% è all’incirca pari a 45 milioni di euro l’anno su tutto il territorio nazionale. Una percentuale minima del nostro FSN soprattutto visto che l’intero costo per l’ accoglienza dei migranti (compresi i centri di accoglienza) si aggira intorno a 1 miliardo di euro l’anno (2015). Ancora una volta, al di là della sostenibilità economica sembra necessario riflettere sull’adeguatezza dei meccanismi di governo delle politiche sanitarie, in una situazione in cui l’intensificarsi degli sbarchi di migranti sulle coste italiane sembra essere una sfida superiore alle nazionali possibilità di intervento e che, soprattutto, ha cessato (da tempo) di avere carattere di sporadicità ed emergenza.
Dopo più di tre anni dall’Accordo Stato Regioni del 20 dicembre 2012 persiste, ed in alcuni casi si è amplificata, un’estrema difformità nelle politiche d’accesso all’assistenza sanitaria per gli stranieri, sia tra Regioni diverse che all’interno della stessa Regione. L’Accordo del 2012 aveva proprio lo scopo di fornire indirizzi operativi per l’applicazione omogenea della normativa in tema di assistenza sanitaria della popolazione straniera; soprattutto riguardo alla disciplina della tutela extra – livelli essenziali di assistenza, che varia a seconda dello status del migrante. Tuttavia ad oggi l’Accordo non è ancora stato ratificato da tutte le Regioni ed anche in questo caso pesa il continuo rinvio delle responsabilità tra governo centrale e locale, vista la competenza delle Regioni in materia di sanità e dello Stato in materia di immigrazione. Da questo deriva una disomogeneità nell’interpretazione delle norme che crea degli ostacoli alle concrete possibilità di cura anche per chi ne avrebbe diritto. Per questo la XIV edizione del Congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), svoltasi a Torino nel mese di maggio, ha riunito circa 300 operatori sociosanitari per riflettere sulle criticità che ormai da tempo si osservano nell’affermazione concreta della dignità e dei diritti di queste persone. Oltre alle cure urgenti erogate nei centri di prima accoglienza, accade infatti spesso che le persone abbiano bisogno di cure prolungate nonché di essere inserite in percorsi terapeutici. Il richiedente di protezione internazionale ha però diritto all’iscrizione al SSN, godendo dell’esenzione totale dal pagamento del ticket, solo una volta verbalizzata la domanda; le Regioni e le strutture pubbliche devono aver recepito le linee guida in materia e conoscere i protocolli da seguire. A questo si aggiunge che le more della formalizzazione hanno tempi lunghi e la permanenza nei centri di accoglienza dura settimane portando, di fatto, a restrizioni della libertà dei migranti (soprattutto se si tratta di centri di identificazione ed espulsione) e della possibilità di ricevere cure presso strutture adeguate.
Le raccomandazioni finali a margine del congresso hanno quindi sottolineato la necessità di monitorare l’applicazione dell’Accordo a livello regionale individuando anche azioni legali perché le Regioni e le Province Autonome rendano operative le indicazioni esistenti. E’ stata proposta la creazione di appositi indicatori per l’analisi delle politiche locali in materia, con l’obiettivo di stimolare il sistema pubblico ad assumersi la responsabilità dell’analisi dei bisogni, della programmazione, dell’offerta attiva dei servizi, del coordinamento e della valutazione critica della qualità e dei risultati raggiunti. Questi obiettivi devono essere perseguiti in maniera sistemica, non in base alla contingenza o secondo logiche emergenziali o assistenzialistiche. In questo si riconosce il ruolo importante della costruzione di una rete tra istituzioni e privato sociale. Situazioni umanitarie critiche come quella che stiamo vivendo – nel 2015 sono sbarcati sulle coste italiane 153 mila migranti – rendono quanto mai evidenti i limiti della gestione frammentaria e compartimentale del nostro SSN più volte, in questa sede, evidenziati. Benché l’onere non possa essere in questo caso scaricato interamente sulle politiche nostrane, sarà comunque il caso di iniziare a considerare anche i risvolti sociali di una gestione poco sinergica in materia di sanità pubblica.