La vigilia della pausa estiva è tempo di bilanci e dunque anche di scadenze parlamentari o governative che con qualche affanno si cerca di rispettare, spesso senza riuscirci. È il caso di due provvedimenti che I-Com sta seguendo con grande attenzione, il disegno di legge annuale sulla concorrenza e la strategia Industria 4.0. Il primo dovrebbe aiutare a modernizzare il settore dei servizi liberalizzandolo, il secondo l’industria digitalizzandola. Due azioni perfettamente complementari per rilanciare la crescita dell’Italia da un punto di vista microeconomico (che è anche l’unico rimasto quasi interamente in capo alle politiche nazionali, sia pure in una cornice europea che pian piano vorrebbe farsi sempre più stretta).
Nei piani del Governo, il ddl Concorrenza avrebbe dovuto essere approvato definitivamente prima dell’estate, dopo un anno intero di dibattito e a un anno e mezzo dal varo in Consiglio dei Ministri (un ormai lontano 20 febbraio del 2015). Ma così non è andata anche se, con grande fatica, si è almeno riusciti a far muovere il provvedimento dalle paludi della Commissione Industria del Senato nel quale era impantanato da 9 mesi. Ora si spera di chiudere la partita entro ottobre con l’approvazione dell’aula e un rapido passaggio confermativo alla Camera. Per poi mettersi al lavoro su un nuovo ddl concorrenza, visto che si sta parlando di una Legge che dovrebbe essere annuale (anche se, dalla sua istituzione nel 2009, questa in discussione sarebbe la prima).
Nel frattempo però l’iter legislativo molto più lento del previsto ha già portato al ritardo di alcune scadenze contenute nella bozza del disegno di legge, su tutte la fine della tutela nei mercati retail dell’elettricità e del gas, spostata dall’1 gennaio all’1 luglio 2018. Nulla di così drammatico ma certamente una misura diretta del prezzo pagato a un dibattito lunghissimo. Così come è difficile immaginare che i piani del Governo (contenuti in un documento importante come il Programma Nazionale di Riforma trasmesso a Bruxelles ad aprile) di presentare entro la fine dell’anno il nuovo disegno di legge annuale possano essere confermati. Più probabile che vengano slittati di qualche mese. Sempre che l’avvicinarsi del referendum costituzionale e i suoi risultati non finiscano per dirottare sia tempi che contenuti del ddl in discussione e di quello che verrà. Per questo sarebbe stato importante fare presto e chiudere tutto prima della pausa.
La vicenda della strategia Industria 4.0 ha seguito un percorso ben diverso dal ddl Concorrenza. Non solo perché non è previsto un disegno di legge omnibus che ne inglobi le diverse parti ma anche perché, piuttosto misteriosamente, lo stesso Ministro, Federica Guidi, che aveva giustamente puntato sul ddl Concorrenza come cifra essenziale del suo lavoro di Governo, aveva del tutto trascurato il tema decidendo di non investirci né dal punto di vista politico né da quello mediatico. Si sono così sprecati 2 anni in cui l’Italia avrebbe potuto lavorare in maniera più efficace e sistemica su un tema essenziale per la competitività del suo sistema industriale e non solo.
Ora per fortuna il Ministro Calenda ha deciso di fare di Industria 4.0 una delle priorità della sua azione. Contestualmente, si sta accendendo l’interesse di Confindustria (che fino a poco tempo fa sembrava limitato al solo mondo di Confindustria Digital, cioè del lato vendor, mentre paradossalmente quasi assente dagli schermi, al netto di iniziative individuali, appariva il settore della manifattura, che dovrebbe essere la protagonista assoluta della trasformazione digitale). Si è mosso anche il Parlamento, con un’indagine conoscitiva conclusa poche settimane fa. In quell’occasione, Calenda aveva dato appuntamento ai primi di agosto per il varo della strategia e la prima riunione della cabina di regia. Che dovrebbe essere il pivot essenziale di una strategia che si rispetti, perché le azioni operative ricadono in parte importante nelle competenze (e nei portafogli) di Ministeri diversi dallo Sviluppo Economico (solo per citarne alcuni, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica e il Ministero del Lavoro, oltre all’immancabile Ministero dell’Economia e delle Finanze).
Fatto sta, il varo della strategia, previsto il 5 agosto, contestualmente alla prima riunione della cabina di regia, è saltato a poche ore dalla meta.
Certamente non cambia moltissimo un rinvio a fine agosto, specie se si tratta di limare alcuni dettagli, ma anche qui qualche preoccupazione è più che legittima dopo che per un anno e mezzo è stato annunciato un piano del Governo, rimasto sempre nei cassetti, prima per inerzia del Ministro e poi in attesa del nuovo. Anche qui peraltro incombe la compagnia referendaria, che contribuirà a distrarre l’attenzione dai temi dell’economia reale. E occorre non solo avviare una cabina di regia interministeriale ma anche una pubblico-privato, ancora più decisiva, visto che si sta parlando di investimenti per alcune decine di miliardi di euro, che nella stragrande maggioranza ricadranno sui privati.
Insomma, in questa strana estate, che preannuncia un autunno particolarmente ravvicinato non solo dal punto di vista meteorologico, sarebbe stato meglio fare presto. Almeno su ddl concorrenza e Industria 4.0. E fare invece meglio, con i giusti tempi, su altre vicende che pure hanno un impatto importante sulle aziende e sui cittadini, come il payback dovuto dalle imprese farmaceutiche sugli sfondamenti di spesa, in particolare di quella ospedaliera, che prima il decreto legge Enti locali 2016, approvato puntuale come un orologio svizzero prima della pausa estiva, e poi un ripensamento del TAR del Lazio, hanno costretto a versare in tutta fretta alle Regioni. Nonostante la vicenda vada avanti da oltre un anno e ci siano delle sentenze dello stesso TAR del Lazio, che lo Stato ha deciso di non appellare al Consiglio di Stato, che danno ragione alle imprese.
In un anno non si è riusciti né a intavolare una trattativa con le aziende sugli importi dovuti (o meglio pretesi) né a varare la riforma della governance del settore. Che lo stesso decreto rimanda alla Legge di stabilità 2017 e dunque al 31 dicembre di quest’anno. Nel frattempo, come in un pallottoliere impazzito, le aziende si sono viste richiedere in successione cifre tra loro significativamente diverse, più volte corrette dall’Agenzia del Farmaco, e infine il TAR ha deciso di chiedere il versamento immediato delle cifre che le stesse aziende avevano accantonato nei bilanci. Trattandosi di un ripiano da quasi 1,5 miliardi di euro, non si tratta di vicenda da poco. Gestita purtroppo nel più totale caos e con una soluzione di breve periodo palesemente inadeguata (penalizzando le aziende più prudenti, che hanno accantonato di più, in attesa dei saldi di settembre e del giudizio di merito dello stesso TAR).
I tempi della politica non possono essere sempre perfetti e adeguati alle esigenze del Paese. Ma queste tre vicende, nella loro diversità, indicano uno sfasamento radicale tra bisogni reali e capacità della politica di intervenire tempestivamente (e, ca va sans dire, bene). In attesa che la riforma costituzionale, se approvata dagli italiani, possa contribuire a sincronizzare l’orologio della politica con quello dell’economia.