Gli albori di Internet risalgono agli anni ’60 negli Stati Uniti, legati a ragioni di ordine militare; presto si diffuse anche nel mondo accademico. Bisogna però aspettare gli anni ’80-’90 per avvicinarci ad Internet così come lo conosciamo attualmente[1]. Da allora è diventato un autentico strumento di massa, parte della quotidianità, ergendosi a vera e propria necessità.
Il modo di pensare ed organizzare le nostre attività, di pianificare la commercializzazione di beni e l’erogazione dei servizi, oggi, non può prescindere dalla rete, che – insieme a device mobili sempre più sofisticati – sta rivoluzionando il tradizionale contesto in cui diversi portatori d’interesse operano ed interagiscono. La maggior parte delle imprese ha ridisegnato i propri processi produttivi e commerciali in un’ottica di new economy perché è impensabile sottrarsi a tale rivoluzione.
Internet e le tecnologie digitali irrompono anche nella Sanità, ridefinendo ormai una nuova relazione tra paziente e professionista sanitario (e/o struttura sanitaria), dove il primo assume un ruolo maggiormente attivo nella gestione della propria salute. Il piano d’azione “Sanità Elettronica” 2012-2020 della Commissione europea ritiene l’uso delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione applicate alla salute (eHealth) fondamentali per fornire assistenza di alta qualità ai cittadini europei. L’eHealth ha lo scopo di migliorare la qualità di vita del paziente, agevolare e migliorare la qualità del lavoro di medici e infermieri, incrementare l’efficienza e la produttività del servizio sanitario.
Nonostante si manifesti sempre più la tendenza dei pazienti a ricercare online le informazioni sulla salute, ad interagire con i medici mediante il web e sia sempre più comune l’uso di Internet tra gli operatori sanitari, il grado di adozione dell’eHealth nei Paesi europei non è, però, affatto uniforme.
In occasione dello studio “INTERNET OF THINGS & 5G REVOLUTION. The Highway for the future of EU Services and Industry: Energy, Healthcare and manufacturing”, I-Com ha elaborato un indice, prendendo in riferimento i quattro indicatori forniti dalla Commissione europea (pazienti che ricercano online informazioni sulla salute; pazienti che prenotano visite mediche attraverso internet; medici di medicina generale che inviano elettronicamente le prescrizioni ai farmacisti; medici di medicina generale che usano Internet per condividere dati sanitari dei pazienti con altri operatori o professionisti sanitari) che mostra come alcuni Paesi siano avanti nell’uso delle tecnologie digitali in ambito sanitario a fronte, invece, di un sostanziale ritardo da parte di altri.
In particolare, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Estonia e Svezia sono i Paesi più avanzati nell’uso delle tecnologie digitali, accomunati da un alto livello di digitalizzazione negli studi medici e da un elevato numero di pazienti che utilizzano Internet per cercare informazioni sulla salute o prenotare visite mediche. L’Italia, invece, si colloca al 18° posto della classifica stilata da I-Com con un punteggio molto basso (circa il 70% in meno rispetto alla prima classificata), avanti solo ai Paesi dell’Est Europa.
Il nostro Paese, di fatto, subisce soprattutto le conseguenze delle inadeguate competenze informatiche e digitali a cui si associano, talvolta, inerzie culturali e resistenza al cambiamento. Inoltre, la telemedicina e le soluzioni digitali che permettono un’interazione diretta tra strutture sanitarie e comunità sono ancora poco sviluppate e necessitano di maggiori investimenti.
Dunque, il processo di digitalizzazione della Sanità italiana appare ancora indietro – si pensi al Patto per la Sanità Digitale che è stato sottoscritto con due anni di ritardo – rispetto a buona parte dei Paesi UE. Numerose sono ancora le cartelle cliniche cartacee, anche se secondo l’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale), il Fascicolo Sanitario Elettronico è finalmente operativo in sette regioni italiane (Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna e Puglia). In Campania, Calabria e Sicilia, purtroppo, ancora non è stato implementato mentre nelle restanti regioni è in corso di implementazione. A questo si somma un problema di interoperabilità dei sistemi regionali di FSE poiché l’accesso alle cartelle cliniche elettroniche e le procedure non sono uniformi in tutta Italia.
Buoni risultati si hanno, invece, sul fronte dell’ePrescription, che è stata introdotta di recente in tutte le Regioni italiane. Ciò rappresenta un risultato molto importante, soprattutto perché ha interessato le Regioni che di solito si caratterizzano come le meno performanti sotto il profilo della Sanità. Il contributo delle farmacie del territorio, che hanno fortemente creduto nella dematerializzazione delle ricette e investito nella formazione del personale, è stato fondamentale per raggiungere un così importante risultato.
Alla mancanza di interoperabilità tra le soluzioni digitali e alla scarsa alfabetizzazione informatica si aggiunge, inoltre, la poca chiarezza del quadro legislativo sulla protezione dei dati e la mancanza di trasparenza per quanto riguarda l’utilizzo dei dati raccolti, che rischia di ostacolare ulteriormente lo sviluppo della sanità digitale in Italia, ed in generale in Europa. Sicuramente sono indispensabili politiche condivise e maggiori risorse per poter beneficiare di un sistema sanitario digitale ed interamente interoperabile.
La recente strategia digitale – Strategia per la crescita digitale 2014-2020 – e la sottoscrizione del Patto per la Sanità Digitale da parte di Stato e Regioni, sembrano ora testimoniare l’impegno comune per la digitalizzazione del nostro Paese, al fine di portare l’Italia, entro il 2020, al raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Agenda Digitale europea, in modo da colmare il divario con gli altri Paesi europei.