Lo scorso 23 novembre è stato pubblicato il rapporto “Health at a Glance: Europe 2016” – frutto della collaborazione tra l’OCSE e la Commissione europea – che cerca di fare il punto sulla sanità in Europa.
Lo studio ha rivelato che dal 1990 al 2014 l’aspettativa di vita nell’Unione europea è aumentata di 6 anni, passando da 74,2 a 80,9 anni, anche se persistono ancora delle diseguaglianze. I Paesi dell’Europa occidentale vantano un’aspettativa di vita superiore rispetto a quelli dell’Europa centrale e orientale; all’interno dei singoli Paesi, invece, sussistono forti disparità in termini di salute e aspettativa di vita tra persone con alti livelli di istruzione e di reddito e persone più svantaggiate. Ciò è in gran parte dovuto ad una diversa esposizione ai rischi per la salute ma anche a disuguaglianze nell’accesso ad un’assistenza di elevata qualità.
L’Italia con un’aspettativa di vita alla nascita pari a 83,2 anni – maggiore di oltre due anni rispetto alla media europea (80,9 anni) – si colloca al secondo posto in Europa, dopo la Spagna.
Guardando i tassi di mortalità per infarto ed ictus, per cancro (anche se l’incidenza è alta, in particolare per quello al seno), per malattie respiratorie si tira un sospiro di sollievo: infatti, in Italia sono al di sotto della media UE e ci si augura continuino a ridursi. Bassa anche la quota di suicidi e la mortalità infantile. Preoccupante, invece, il numero di bambini in sovrappeso.
Anche relativamente agli stili di vita, l’Italia riesce a mettere a segno qualche buono risultato, in particolare in riferimento al consumo di alcol (sotto la media europea) e al consumo di frutta e verdura (sopra la media europea); lo stesso, non si può propriamente dire per quanto riguarda il consumo di droghe (terzi per consumi di cannabis dopo Repubblica Ceca e Francia) e il fumo.
L’equità nell’accesso alle cure sanitarie – si sa – è un tasto dolente per il nostro Paese. La percentuale di popolazione che riporta esigenze mediche insoddisfatte è in aumento, in particolare per le fasce a basso reddito, con conseguente aumento delle disuguaglianze. Un fenomeno preoccupante è la rinuncia alle cure per motivi economici o per carenze delle strutture di offerta (es. liste di attesa) che può portare a un peggioramento delle patologie con il rischio che vengano diagnosticate in una fase già avanzata e che si vanifichino gli “sforzi” fatti con le diagnosi precoci.
Non è una novità, inoltre, che la spesa sanitaria totale rappresenti il 9,1% del PIL italiano nel 2015, contro una media Ue di 9,9%, e che sia significativamente inferiore rispetto a Germania (11,1%), Svezia (11,1%) e Francia (11%). Molto bassa anche la quota di mercato dei farmaci generici, che invece potrebbero favorire la sostenibilità del nostro sistema sanitario.
Un dato allarmante riguarda il consumo di antibiotici che risulta essere superiore alla media europea. A tal proposito è opportuno citare un interessante studio dell’OCSE “Antimicrobical resistance” che analizza l’andamento del fenomeno dell’antibiotico-resistenza dal 2005 al 2014.
La resistenza agli antibiotici purtroppo è un fenomeno largamente diffuso e rappresenta una delle maggiori minacce per la salute globale: sta compromettendo il trattamento delle malattie infettive, causando molti decessi, minando i progressi della medicina e mettendo a dura prova la sostenibilità dei sistemi sanitari.
Nel 2014 la probabilità di identificare un’infezione resistente agli antimicrobici è stata in media circa del 15% nei paesi OCSE. Tra il 2005 e il 2014, la prevalenza della restistenza-antimicrobica è aumentata in 23 Paesi su 26, con un incremento medio annuo del 5%. Nel nostro Paese è cresciuta molto di più, passando dal 17% ca. al 33% ca: numeri che consentono all’Italia di classificarsi, purtroppo, al terzo posto dopo Grecia e Turchia.
Il consumo di antibiotici e, in particolare, l’uso inadeguato sono tra le principali cause dello sviluppo della resistenza-antimicrobica. Nel 2014, il consumo medio di antibiotici nei Paesi OCSE è stato di circa 20,5 dosi giornaliere (DDD) per 1.000 abitanti. Anche in questo caso l’Italia si trova tra le prime 10 posizioni con un consumo di antibiotici pari a 27,8 DDD, in aumento rispetto al 2005.
Il quadro che emerge dai dati esposti raffigura indubbiamente una sanità per certi aspetti “in salute” e per altri meno. È sicuramente necessario mettere in atto politiche volte a ridurre la disparità nell’accesso alle cure. Inoltre, per contrastare il fenomeno dell’obesità, che interessa soprattutto i più giovani, è opportuno intraprendere azioni molto decise che coinvolgano anche il sistema dell’istruzione, al fine di diffondere abitudini di vita e regole alimentari sane.
Relativamente all’ultima criticità, l’antibiotico-resistenza, l’OMS da tempo rivolge appelli sia ai cittadini sia agli operatori sanitari per combattere questo serio fenomeno, che si sostanziano in:
- utilizzare gli antibiotici solo se prescritti da un medico;
- effettuare la profilassi completa e non interromperla come spesso accade;
- prescrivere gli antibiotici solo quando è veramente necessario;
- migliorare l’appropriatezza prescrittiva;
- migliorare prevenzione e controllo delle infezioni.