Carmina non dant panem ? Per un nuovo dialogo tra settore finanziario ed imprese creative e culturali.

creative economyQuali sono gli interventi che a livello europeo e nazionale gli operatori del settore creativo e culturale avvertono come prioritari per favorire lo sviluppo di strumenti di sostegno finanziari più efficaci? Su quali leve occorre intervenire in via prioritaria per fornire alle imprese del settore un quadro di regole più efficiente in modo da rafforzare gli investimenti in innovazione e trainare l’offerta? Qual è il ruolo che lo Strumento di garanzia sui prestiti di Europa creativa può concretamente giocare per attrarre maggiori finanziamenti a favore dei settori culturale e creativo? Quali cambiamenti nelle politiche pubbliche potrebbero portare a maggiori investimenti privati e ad una maggiore solidità e patrimonializzazione del comparto?

Queste le principali questioni chiave sulle quali ci si è interrogati in occasione dell’evento “Carmina non dant Panem?” promosso dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea in collaborazione con ABI e organizzato da I-Com il 16 dicembre scorso a Roma.

L’occasione che ha spinto la Commissione a promuovere l’iniziativa – che ha visto la partecipazione di più di 100 operatori del settore creativo culturale, esponenti del mondo bancario e finanziario, rappresentanti di istituzioni pubbliche e private e di associazioni del settore – è il lancio dello strumento di garanzia per i settori culturale e creativo che la Commissione europea ha messo in atto per adempiere all’art 14 del Programma Europa creativa (Regolamento EU 1295/2013) e che inizierà ad essere operativo entro la fine del 2016. Dal 30 settembre scorso, il Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) sta raccogliendo le adesioni al bando, aperto a tutte le istituzioni finanziarie interessate a rivolgersi ai settori culturale e creativo con una offerta mirata e rispondente ad alcuni requisiti, tra i quali un portfolio di clienti con profili di rischio diversificati, multidisciplinare, multi-territoriale e una policy di management del rischio alternativa alla richiesta di garanzie reali personali.

Lo Strumento di garanzia, che opera in autonomia attraverso l’affidamento al FEI, è stato istituito per facilitare l’accesso ai finanziamenti per micro, piccole e medie organizzazioni dei settori culturale e creativo e per accrescere la capacità degli intermediari finanziari di misurare i rischi connessi con l’attività e i progetti delle organizzazioni del settore, nonché per assicurare loro assistenza tecnica mirata, accrescimento delle conoscenze e misure di rete. Lo strumento era stato annunciato dalla Commissione UE e dal FEI anche in occasione dell’ultima Mostra di Venezia. La dotazione finanziaria dello strumento è, per il periodo 2014-2020 pari a 121 M€, che costituiscono il 8,3% del budget del Programma Europa creativa la cui disponibilità complessiva per il settennio è di 1.462 M €.  Secondo le stime della Commissione, lo strumento potrebbe mobilitare 600 milioni di euro, con un fattore di leva pari a 5.

Il lancio dello strumento di garanzia da parte della Commissione Europea rappresenta una novità rilevante, non tanto per l’importo messo a disposizione, che peraltro- se presto esaurito- potrebbe ricorrere a fondi EFSI per anticipare i ratei annuali, ma soprattutto per il metodo, che potrebbe fare la differenza su due cruciali punti di debolezza del sistema: il riconoscimento della proprietà intellettuale come asset misurabile e bancabile e lo sdoganamento dei settori da una percezione di volatilità e scarsa affidabilità difficile da scardinare ma non sufficientemente motivata dai fatti.

L’obiettivo strategico è il pieno utilizzo del potenziale di un settore che nella UE riunisce 3 milioni di imprese, impiega 12 milioni di persone, cioè il 7,5% della forza lavoro UE, genera 509 miliardi di euro, cioè il 5,3% del PIL UE e il 13% delle esportazioni (dati 2014). Se al nocciolo duro delle imprese culturali e creative (ICC) si aggiungono le imprese di alta gamma i numeri salgono di 1,7 milioni di occupati e di un ulteriore 4% del PIL.

I settori culturale e creativo inoltre sono fortemente radicati nei territori dove hanno tradizione, resistono  alla delocalizzazione, sono composti  al 95% da micro imprese con meno di 10 dipendenti, hanno retto la crisi del 2008 meglio di ogni altro settore e impiegano un maggior numero di giovani tra i 15 e i 29 anni come rilevato da recenti dati Eurostat.

Tuttavia i settori culturale e creativo, che possono contare su un forte supporto pubblico, per varie ragioni non hanno ricevuto lo stesso livello di attenzione da parte delle istituzioni finanziarie, che li hanno storicamente considerati troppo rischiosi anche per la presenza di significative asimmetrie informative.

Nuove soluzioni market-driven sono recentemente state sviluppate accanto alle forme più tradizionali di ricorso al credito, anche perché queste ultime hanno subito la pressione delle minori disponibilità di fondi pubblici. Per consolidare un nuovo corso, il sistema bancario richiede che si creino le necessarie condizioni di trasparenza, visibilità e intervento precoce, che postulano una politica di sistema attivata da parte delle pubbliche istituzioni. L’esperienza francese delle SOFICA viene considerata, ad esempio un modello interessante da importare nel settore audiovisivo nazionale. Ma anche gli operatori privati e pubblici e gli intermediari finanziari devono mettersi in gioco, migliorando la reciproca conoscenza.

Nel corso dei tavoli paralleli che si sono svolti nel pomeriggio operatori del settore e rappresentanti delle istituzioni e del mondo bancario si sono confrontati sulle criticità ancora da rimuovere per favorire un rafforzamento del dialogo tra questi due mondi, hanno illustrato le principali modalità di sostegno proponendo soluzioni che consentano ai fondi pubblici di fungere da leva per l’attrazione di risorse private ma avanzando anche proposte per ripensare globalmente modelli e regole del supporto pubblico alla luce del digital shift e dell’evoluzione del contesto finanziario. Occorre infatti constatare come il contesto economico e tecnologico abbia modificato le pratiche di business nel settore e che a livello europeo si affacciano nuovi strumenti di finanziamento come ad esempio il microcredito, i voucher o il crowdfunding ancora poco impiegati e valorizzati nel comparto a livello nazionale. Senza trascurare che dal punto di vista delle PMI, esistono specifiche difficoltà sono connesse con l’accesso ai finanziamenti (prestiti, interim finance, gap finance, anticipazioni) per la produzione, la distribuzione, l’accesso ai mercati, la promozione.

I lavori della giornata hanno consentito di far emergere anche il quadro europeo all’interno del quale si muovono le imprese creative e culturali. I settori creativo e culturale sono stati ricompresi dalla Commissione europea tra quelli più promettenti e, con il Libro verde del 2008 sono stati incoraggiati a “sbloccare” il proprio pieno potenziale al servizio della crescita. Un ruolo prezioso per favorire questo processo è stato giocato dalla Commissione Cultura del Parlamento europeo, presieduta dall’On. Silvia Costa che ha svolto una forte ed attenta azione di controllo e indirizzo.

Da lì una pluralità di iniziative UE legislative e non legislative, supportate da ricerche e studi, ha dato evidenza a dati importanti (5,3% del PIL europeo, 7,5% degli occupati, cifre che crescono in modo significativo se includiamo l’alta gamma e l’indotto) e messo in evidenza alcuni disallineamenti nel perimetro dei settori considerati. Per il Libro verde “Sbloccare il potenziale delle imprese creative e culturali”, prodromo del programma Europa Creativa- incluso il suo Strumento di garanzia finanziario, gli ambiti sono architettura, archivi e biblioteche, artigianato artistico, audiovisivo (film, TV, videogiochi, multimedia), patrimonio culturale, design (inclusa moda), festival, musica, arti dello spettacolo, libri e giornali, radio e arti visive.

Nella Risoluzione 2016/2072 “Verso una politica coerente per il settore culturale e creativo”, approvata in plenaria a Strasburgo dal Parlamento il 13 dicembre scorso, si sottolinea che i “perimetri” e le definizioni del settore non sono coerenti e si stabilisce di includere anche pubblicità (uniformandosi all’UNESCO), nonché moda e industrie di alta gamma basate sulla creatività. Inoltre la musica viene suddivisa tra musica riprodotta, che afferisce all’audiovisivo e musica dal vivo, autonoma. Si rileva anche che gli Stati membri applicano perimetri diversi, in alcuni casi includendo marketing e software e l’agroalimentare di qualità, tema molto caro all’Italia. Dal canto suo, Ernst & Young, che ha dedicato diverse ricerche alle ICC, nel mondo e in singoli Paesi, sulla base di un proprio standard, include solo gli ambiti coperti da proprietà intellettuale, cioè pubblicità, architettura, libri e stampa, videogiochi, film, musica, arti dello spettacolo, radio e TV, arti visive, escludendo cioè tutta la componente del patrimonio culturale, a forte trazione pubblica.

Si disegna così un mondo diversificato, pubblico e privato, profit e non-profit, che offre servizi alla persona e alla comunità in forma d’impresa o no, che per alcuni aspetti afferisce ai servizi culturali fondamentali della persona e all’ identità delle comunità (patrimonio, musei, biblioteche, archivi), per altri è prettamente campo d’impresa (artigianato artistico, architettura, design, videogiochi, pubblicità, moda, alta gamma), in altri ancora ha natura ibrida (cinema, teatro, musica, editoria, arti visive ).

L’evento del 16 dicembre è stata una importante occasione di riflessione per avviare una collaborazione più costruttiva tra mondi ancora distanti in cui sono ancora forti le asimmetrie informative e svariati gli elementi di frizione e di incomprensione, ad esempio sulla sensatezza della applicazione al settore del divieto europeo agli aiuti di stato introdotto con il regolamento UE n.651 del 2014 e la forte criticità da esso indotta negli Stati membri e nelle Regioni. C’è anche preoccupazione per le aspettative di auto-sostenibilità legate allo sfruttamento della proprietà intellettuale nell’ecosistema digitale, che si scontra però con un conto profitti e perdite spesso negativo per gli stakeholder europei e incapace di raggiungere l’equilibrio senza sostegno pubblico.

La UE vive inoltre una tensione tra due polarità: la difesa della diversità culturale e linguistica sancita dal Trattato sul funzionamento dell’UE, che induce a investire nelle iniziative e nelle lingue dei paesi più piccoli, e la capacità di competere a livello mondiale, che chiede investimenti e marketing di scala appropriata. Bisogna anche osservare ad esempio che non è europea nessuna delle venti maggiori piattaforme mondiali di vendita online. Non è risolto nemmeno il problema della pirateria e della contraffazione delle merci, che incide per il 2,5% nel Commercio mondiale e costituisce il 5% dell’import UE, per un valore di 85 miliardi di euro. E mentre il consumo di musica e video, grazie al digitale, si diffonde esponenzialmente, i creativi e gli autori scontano una penalizzazione in termini di remunerazione (value gap).

L’applicazione ai settori culturale e creativo di parametri standard rivela limiti che lo Strumento finanziario di Europa creativa e, più in generale, la politica UE di sostegno alle ICC intendono definire e affrontare.

La citata Risoluzione del Parlamento UE ha visto i co-relatori Christian Ehler e Luigi Morgano spingere con forza per arrivare ad una definizione del perimetro del settore culturale e creativo, per l’individuazione delle opportunità, soprattutto nel contesto digitale, definendo gli ambiti formativi e professionalizzanti, concentrandosi sull’accesso al credito e sugli strumenti di garanzia e ribadendo il valore dei diritti di proprietà intellettuale come asset specifico.

Questo non ha ancora inciso nella percezione che le istituzioni finanziarie hanno dei settori culturale e creativo, che del resto non sono i soli settori ad alta specificità europea e con potenziale di crescita a mostrare sofferenza nei confronti degli investitori finanziari. La Commissione ha perciò negoziato con la Banca europea degli investimenti che il FEI, adeguatamente co-garantito da fondi UE, creasse una “famiglia” di strumenti ad hoc in appoggio ai programmi COSME (PMI), Erasmus+ (Educazione e formazione), Horizon 2020 (ricerca), LIFE (sociale), EASI e appunto Europa creativa (cultura, creatività, audiovisivo), che sta entrando ora in fase operativa. I fondi COSME e Horizon 2020 hanno già dimostrato che la domanda è ben superiore alla disponibilità programmata annualmente ed hanno ottenuto che, attraverso fondi EFSI (Fondo europeo d’investimento strategico) l’intero importo stabilito per il settennio potesse essere reso disponibile dal 2017/2018. Altrettanto potrebbe avvenire con Europa creativa- e in questo senso già ci sono azioni tanto da parte di Parlamento e Commissione europea quanto da parte del Consiglio degli Stati membri, che ha accolto una dichiarazione in questo senso avanzata dal Ministro Dario Franceschini durante l’ultimo Consiglio Cultura, il 21 novembre scorso.

Per concludere, riteniamo che alla luce delle dinamiche emerse dal dibattitto esistano spazi di collaborazione, sostegno e di miglioramento all’interno delle strategie comunitarie a sostegno delle imprese creative e culturali. A fronte dei numerosi studi condotti in questi anni è importante giungere ad una perimetrazione degli ambiti più omogenea, condivisa e raffrontabile a livello internazionale. Ciò aiuterà a valutare meglio il settore quantificandone il peso economico e sociale, rafforzare l’efficacia degli interventi da adottare, correggere le asimmetrie informative tra mondo finanziario e settore creativo e culturale e risolvere gli elementi di frizione tra i due ambiti come ad esempio quello relativo alla disciplina degli aiuti di Stato o quello che afferisce allo sfruttamento della proprietà intellettuale nell’ecosistema digitale.

E’ fortemente avvertita l’esigenza di misure a garanzia di un’equa retribuzione degli autori nella riforma del copyright così come l’attuazione di politiche per realizzare un fattivo collegamento con il mondo della scuola, della formazione professionale e del lavoro, attraverso la promozione di approcci intersettoriali e sostegno a centri di eccellenza .

Tutto ciò è possibile incrementando i fondi UE mirati per le ICC e sfruttando in modo ottimale- le sinergie tra i programmi già esistenti, come il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Piano Juncker) e i fondi strutturali.

(questo articolo è frutto di una sintesi ragionata del documento di background relativo all’evento del 16 dicembre, elaborato insieme a Cristina Loglio, Presidente del Tavolo Europa Creativa del Mibact) .