Il caso Occidentali’s Karma e il boom della musica in streaming

Music_Streaming_ServicesC’era una volta la musica. Quella che si ascoltava in radio e poi si acquistava e riproduceva su supporto fisico. Ti piaceva un artista, ne compravi il cd e avevi a disposizione l’intera compilation. Solo che per farlo bisognava uscire di casa. Il supporto originale era poi sostituibile con le copie illegali, facilmente riproducibili e altrettanto facilmente reperibili. Difficile prevenire questo sistema, così come era impensabile l’acquisto di una selezione di brani piuttosto che dell’intera compilation.

Poi c’erano i concerti: il metodo era sempre lo stesso di oggi, solo che nel mondo analogico i biglietti dei concerti erano principalmente venduti attraverso i canali fisici. Chi non trovava i biglietti poteva acquistarli a prezzi maggiorati dai bagarini.

Poi è arrivata Internet. La musica ha trovato subito forme alternative di diffusione e riproduzione. ITunes ha fatto la propria fortuna attraverso la vendita di singoli brani o interi album a prezzi più competitivi. Al minore costo si aggiunge anche la facilità e comodità nel reperirli. Oggi l’acquisto avviene con un click e non si è più costretti a comprare intere compilation, ma solo la musica preferita.

Anche l’acquisto dei biglietti dei concerti si è spostato sul canale Internet, e i bagarini si sono adeguati spostandosi in rete. Li chiamano siti di secondary ticketing, ma di fatto sono sistemi che, attraverso l’uso di software automatici, fanno razzia di biglietti degli eventi di maggior richiamo rendendoli introvabili sui canali di vendita primari e nuovamente disponibili sui proprio portali a prezzi gonfiati. Il caso è scoppiato lo scorso ottobre in occasione della vendita dei biglietti dei Coldplay, (ma si erano verificati numerosi altri casi in precedenza) esauriti solo a pochi minuti dall’apertura della prevendita e disponibili immediatamente dopo sui secondary market. Pratiche al limite della correttezza che hanno richiesto un supplemento di indagine da parte dell’Antitrust e un forte intervento da parte di SIAE e Federconsumatori, grazie al quale si è giunti ad un pronunciamento da parte del Tribunale civile di Roma nell’ottobre scorso.

Insomma Internet ha modificato il canale di fruizione e vendita della musica, ma in alcuni casi ha ingigantito alcune usanze. Tramite Internet è più facile riprodurre e scambiare illegalmente la musica, ma è pur vero che la maggiore disponibilità di musica on demand, in streaming e a basso costo, ha reso questa pratica meno conveniente agli occhi dei consumatori.

La musica in streaming è oggi ampiamente disponibile attraverso sistemi come Spotify. C’è la possibilità di farne un uso gratuito e in quel caso il sistema ne limiterà l’accesso e imporrà i propri spot pubblicitari. Oppure, complici anche le offerte integrate con gli smartphone, è possibile, attraverso un abbonamento sul modello dell’s-vod di Netflix, usufruire di servizi aggiuntivi, come la musica offline e senza pubblicità. La library praticamente illimitata e il sistema delle playlist rappresentano poi un valore aggiunto per gli utenti. Secondo uno studio di Midia, Spotify detiene, a fine 2016, il 43% del mercato globale, seguito da Apple Music (20,9%), Deezer (6,9%), Napster (4,5%), Tidal (1%). Il resto del mercato è coperto da operatori legati a marchi noti, quali Amazon o Google, operatori locali e il colosso cinese Tencent Music Group per un totale di 100,4 milioni di abbonati (erano 67,5 milioni un anno fa). La sola Spotify ha raggiunto, a fine 2016, 43 milioni di utenti premium, più del doppio rispetto agli abbonati al servizio della Apple (21 milioni), mentre sono decisamente lontani i 7 milioni di utenti di Deezer.

La ricerca Ipsos Connect  The Music Consumer Insight Report 2016 condotta su 13 mercati musicali tra cui quello italiano, evidenzia come la musica in streaming sia sempre più popolare, e il 71% degli utenti Internet tra i 16 e i 64 anni usi almeno un servizio di streaming di musicale legale. Circa la metà degli utenti Internet (48%) paga per la fruizione (acquisto o streaming) di musica. Tra i più affezionati ascoltatori della musica in streaming troviamo i più giovani, infatti il 32% dei ragazzi tra i 16 e i 24 anni paga per un servizio musicale in streaming. Il consumo tramite smartphone guida questa crescita, infatti il 55% degli utenti Internet (+10% sul 2015) ascolta musica attraverso questa modalità.

YouTube, con un miliardo di utenti mondiali, è lo strumento più utilizzato per il consumo di musica online. L’82% degli utenti del servizio lo utilizza infatti per ascoltare musica, percentuale che raggiunge il 93% nella fascia tra i 16 e i 24 anni.

Tali cambiamenti nel consumo musicale non hanno tuttavia estinto il problema del consumo di musica illegale: sono solo cambiate le modalità. Secondo Ipsos infatti il 35% degli utenti accede alla musica digitale attraverso servizi illegali e il 30% di essi lo fa attraverso servizi di streaming, percentuale che raggiunge il 49% tra i più giovani. Sono i più popolari motori di ricerca il principale strumento per rintracciare questi servizi di musica pirata, utilizzati dal 66% degli utenti.

In Italia il 40% degli utenti usa servizi di streaming musicale e il 20% fa uso di quelli a pagamento. La musica online viene ascoltata nel 68% dei casi attraverso gli smartphone e il 91%  degli utenti che usano YouTube  lo fa per ascoltare musica.

Queste tendenze positive possono spiegare il boom di ascolti in rete dell’ultimo successo sanremese Occidentali’s Karma. Complice la curiosità del balletto, l’orecchiabilità del motivo e un testo pop che ha sviluppato un dibattito intorno al proprio significato – con citazioni più o meno colte e rimandi pindarici che vanno da Marx ad Eraclito passando per Desmond Morris fino a Kubrik e al punto da divenire un “tema caldo” sui social, il brano ha ottenuto 20 milioni di visualizzazioni a una settimana dalla vittoria del festival, è tra i più ascoltati su Spotify, è al primo posto tra i download su iTunes e risulta tra i brani più scaricati in 14 paesi. Impensabile solo qualche anno fa che un artista, ottenesse una popolarità superiore all’altezza del proprio repertorio. È vero dunque che i guadagni che vanno ad artisti e case discografiche dallo streaming sono piuttosto limitati rispetto al passato (in Europa il dibattitto è molto acceso sul tema del value gap nel quadro della riforma della legislazione in materia di copyright, ovvero di una remunerazione proporzionata per le case discografiche e i gli autori rispetto ai ricavi delle piattaforme on line) e che le altre modalità di vendita sono in calo, ma è pur vero che la coda lunga della rete, col proprio spazio illimitato, ha dato voce e visibilità ad artisti, generi e talenti in una maniera impensabile nell’era analogica.

Articolo scritto con Monica Sardelli